L’inedita esperienza della sospensione delle attività e l’ampiezza, che ha coinvolto l’intero sistema, della crisi ci hanno collettivamente fatto prendere coscienza che qualche cosa di irreversibile stava e sta passando.

Se niente sarà come prima, non è solo perché quello che noi viviamo è straordinario, ma soprattutto perché noi ci siamo scoperti e ci scopriamo vulnerabili.

Il forte desiderio del “dopo” che ci prende non è altro cosa della pulsione alla vita e questo non si discute. Ma questa accelerazione dell’irreversibilità non è iniziata con la pandemia e non avrà tempo breve.

Il confinamento ha creato l’impressione errata che si poteva mettere il mondo in pausa, quando invece tutto ciò che non ha smesso di essere attivo, si è bruscamente accelerato.

Ogni decisione, ogni misura, ogni atto preso nell’urgenza della crisi non è già altro che un passo per il dopo.

Non c’è, nella pratica, distinzione tra resistenza, resilienza, ricostruzione, e non vi sono concatenamenti sequenziali tra riflessione, strategia e esecuzione.

Ogni instante deve essere accompagnato da una attività, profondamente attenta e attitudine prospettica acuta.