Marchiopoli

Marchiopoli

Nessun commento su Marchiopoli

D: Salute a te, ti vedo in ottima forma.

F: Salute a voi tutti, e che la serenità resti con voi. Il cortile della Biblioteca di Locarno è quieto, è bello ritrovarci in questo luogo.

S: Stavamo osservando che fai delle osservazioni relative ai marchi di prodotti alimentari, forse temi, come per il bio, anche per loro l’effetto greenwashing.

F: Per i marchi temo infatti per diversi ambiti. I marchi rappresentano oltre che se stessi anche lo sforzo storico, culturale, sociale, di un territorio, che può interessare gli interi confini e far parte della caratteristica nazionale.

C: Esempio, per favore.

F: Cipolle di Tropea, pomodoro di Pachino, culatello di Zibello, costata di chianina, grana padano e parmigiano, prosciutto di S. Daniele e di Parma. Sono alcuni prodotti che vengono identificati in marchi che li comprendono e che hanno la responsabilità di migliorare continuamente il loro posizionamento. E ci sono poi dei marchi non identificati. Mi riferisco ad esempio allo stracchino e/o alla robiola. Anche per questi vale il miglioramento continuo del posizionamento.

C: Penso di capire ciò che intendi, ma puoi essere ancora più preciso?

F: Faccio solo due esempi, che sono stati riportati in post che abbiamo condiviso. Il primo era relativo ad una ipotetica sosta con i finestrini abbassati nel comune di Zibello. Che cosa ci saremmo aspettati? Chiaramente di sentire l’odore del maiale. Ma dato che questo odore non c’è, forse gli 11 comuni che hanno la proprietà, e quindi l’onere anche sociale del mantenimento, dovrebbero, era ed è una provocazione, insufflare di tanto in tanto l’afrore della porcilaia. Il secondo esempio è l’emblema della montagna e della Valtellina in particolare: il bel muso della bruno alpina. Anche a Cadenazzo sulla torre della Fila giganteggia il muso della bruno alpina con la lingua nel naso. E’ l’immagine di un territorio, delle baite, dei pascoli. Ma a Cadenazzo la bruno alpina ci sta, è a casa sua, l’esempio della Valtellina un pò meno. Da qui lo scambio di lettere, riportate nei post, con l’industria che é arrivata a concepire una sede in Montagna della Valtellina (notate l’acume), ma non ha pensato minimamente a modificare l’immagine della bruno alpina con il muso di zebù, ruminante dal quale ricava la bresaola, affermando che il tutto era indicato nel capitolato IGP che dà facoltà di impiego del marchio a chi stagiona e non al ciclo completo. E questo per quanto riguarda il miglioramento del posizionamento.

S: Ma questo non è corretto perché io ero certo che il marchio, anche IGP o altra sigla, significasse l’intera filiera: quindi pascoli, vacche libere, mungitura, allevamento dei manzi e produzione di bresaola. Devo verificare con la carne secca dei grigioni.

C: Io non lo so, ma adesso mi sto rendendo conto che, magari, non abbiamo votato nel nostro interesse nel recente referendum sulle produzioni di territorio. Ma non voglio assolutamente metterla in politica. Puoi continuare con le tue riflessioni sui marchi?

F: Abbiamo detto che il marchio, con denominazione certificata oppure no, rappresenta anche la storia, la cultura ed il sociale. Nella misura in cui il valore è alto, maggiore deve essere la responsabilità nelle dichiarazioni che comprendono le etichette, la pubblicità, le immagini. Vi è una parte del valore del marchio che non appartiene alla proprietà dell’azienda o delle aziende che lo producono perché utilizzano un plus dovuto alla storia del territorio, alla cultura culinaria, agli usi e costumi. E’ il caso di qualsiasi prodotto che viene accostato ad uno specifico territorio: pianura padana, mozzarella campana, pasta pugliese, panettone di Milano, salume brianzolo, carasau sardo, nduja calabra, raspadura lodigiana, carne dei Grigioni. Faccio degli esempi italiani poiché conosco un poco di più del settore alimentare italiano, ogni regione, ogni provincia ed ogni comune ha delle specialità gastronomiche che sono apprezzate come tradizione ed uso, e che i tanti che sono espatriati ancora coltivano. Il plus del valore è legato alla tradizione, alla cultura ed al riconoscimento che viene dato a queste vere e proprie specialità. Ed è appunto su questo punto che il greenwashing può fare male, anzi molto male. Poiché si dà sempre un gran valore alla tradizione ed al territorio ma, purtroppo in troppi casi, solo a parole.

Perché dico solo sa parole? Perché nei fatti è un’altra cosa. Poco proviene e resta del territorio.

D: Puoi fare degli esempi?

F: La carne dei salumi che al massimo contiene il 12% di animali nati, allevati e macellati sul territorio, per i salumi valgono le dichiarazioni e gli atteggiamenti dell’organizzazione degli spagnoli: quanti sono gli italiani e gli spagnoli? Quanti sono i maiali allevati in Italia? In Spagna sono 40 milioni (nel senso del maiale): vogliamo adesso, parlare di prosciutto. Non c’è alcuna difesa con questa mossa (è l’uscita di cavallo in C3 come inizio: spiazzamento totale). E l’obiettivo non è la derrata ma la specialità: in questo caso il prosciutto.

Del latte meglio non parlarne poiché la partita se la giocano i francesi, ricordo di aver scritto un post relativo forse al più grande marchio lattifero italiano, in accordo con gli olandesi, tedeschi. E non dimentichiamo che il latte è la base (teorica) dei formaggi, e ve ne sono più di 200 come marchi caseari.

C: Le dichiarazioni di De Gaulle sull’impossibilità di governare un Paese con oltre 200 marchi di formaggio, me la ricordo.

F: Non dimentichiamoci che stiamo parlando di derrate che vengono copiate in giro per il mondo, proprio per la loro notorietà e per il fascino legato all’immaginario del territorio. Ogni anno vi è un riepilogo dei danni provocati da queste copiature e, vengono definite, adulterazioni. Ma qui con voi sollevo un problema. Ma se i produttori non rispettano la tradizione ed il territorio non sono essi stessi degli adulteratori? Se i produttori non si rendono conto che utilizzano la storia di un territorio e quindi dovrebbero essere i primi a valorizzarla in ogni dettaglio, che senso ha se sono o meno copiati?

I recenti fatti legati al grano francese e del Nebraska, 4.500 tonnellate, utilizzate dal rinomato pastificio pugliese (che vantava solo cereali locali), sono state considerate dagli organi di controllo come una truffa e si è arrivati al rinvio a giudizio.

E’ una mia supposizione che si innesti oltre al greenwashing un’attività che potrebbe rivelarsi come nuova, questa legata ad una attività da servizi segreti, da barbe finte. A parte che il grano del Nebraska dovrebbe avere delle specifiche che non sono ritenute sicure dalla UE (ad esempio soglia per l’Aflatossina da 50 a 500), e pertanto anche dal territorio pugliese, ma le 4.500 tonnellate di grano francese? I responsabili del pastificio hanno dichiarato che il loro primo requisito è la qualità e non la provenienza, ma questa mi appare come una toppa messa anche non bene. Se la Confagricoltura sbandiera ai quattro venti i pericoli di una copiatura o di una adulterazione, non è logico che alcuni possano pensare non solo di copiare il prodotto, ma di facilitare e agevolare lo scivolone del marchio, per renderlo meno appetibile, credibile? In questo caso si fa del tutto affinché il marchio abbia un interesse economico a breve per poi, fornendo anche di proposito la prova del misfatto, dargli una bella verniciatura di sporco. E’ la storia della zootecnia che ho vissuto dal 1960 in poi: la svendita, la quinta colonna al lavoro per favorire il colonialismo zootecnico e agricolo.

DSCR: Ma dai, pensi che sia una cosa possibile?

F: Dipende dall’obiettivo. Lo possiamo escludere? Io parlo normalmente di sicurezza dei manipolatori e di emissioni nel territorio, che sono, anche loro, una preoccupazione reale, qui si va ancora più sul pesante. Ma restiamo sereni e godiamoci la giornata di sole.

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

Related Posts

Leave a comment

Back to Top