INDIVIDUALISMO ED AZIONE

INDIVIDUALISMO ED AZIONE

5 commenti su INDIVIDUALISMO ED AZIONE

Dalla lettura di Gerard Karsenty, dottore in medicina, in scienze, precedente interno degli Ospedali di Paris, anziano allievo di l’Institut d’Etudes Politiques de Paris. Professore e Chairman del dipartimento di genetica e di biologia dello sviluppo dell’Università Columbia a New York.

Veloce traduzione per favorirne la lettura e la discussione in occasione del primo maggio, che è il giorno da dedicare alla riflessione sulla possibilità di applicare le proprie attività operative nel tempo e nello spazio.

La percezione che si può avere di un paese, del nostro ed ancora di più di un altro, straniero in ogni senso del termine, è personale, soggettiva e raramente completa; e, soprattutto, cambia nel tempo. E’ personale e soggettiva perché risulta, in grande parte, dalla lettura di una cultura straniera a partire dalla nostra sensibilità, della nostra cultura nazionale e della nostra educazione, le quali non sono sempre adatte per accettare e dopo per comprendere lo straniero e l’estraneità. Scrivo questo sia per limitare la portata di quanto vado a scrivere, sia per prenderne piena responsabilità. Ciò che scrivo non è che una visione personale, fondata essa stessa su molteplici esperienze, ma che non ha la pretesa di essere universale. E non ha nemmeno la pretesa di essere condivisa (comune) a tutti i francesi (o europei) che hanno vissuto o che vivono negli Stati Uniti. Rappresenta semplicemente le diverse forme della mia sorpresa davanti a diverse realtà americane, certe evidenti, attese, altre più o meno nascoste sono una fiction generata ….dalla nostra propria cultura, utilizzata come una griglia di lettura di un’altra cultura. A posteriori, queste sorprese non dovrebbero essere così sorprendenti perché discendono semplicemente, logicamente, dai principi fondamentali della cultura americana.

La libertà di intraprendere

Tutto ciò potrebbe essere dovuto alla mia propria mancanza di rigore, normale alla mia età, a un certo lassismo intellettuale, oppure può essere che prendessi i a priori (pregiudizi) che ricevetti da mio padre come verità evangeliche, ma tra i 12 e 20 anni sono cresciuto, in Francia e in francese, con la certezza, come se ne avessi fatto esperienza io stesso, che gli Stati Uniti, l’America, come dicevamo allora, fosse il paese dell’individualismo, dell’iniziativa individuale. In pratica questo prendeva la forma di ciò che io credevo essere una maggiore facilità a creare ed a sviluppare delle imprese individuali rispetto a ciò che succedeva in Francia. Questa immagine, questa quasi certezza, mi erano state date dagli articoli di volgarizzazione e dai libri che consultavo e dai film americani che vedevo e rivedevo senza che comprendessi sempre bene, e questo lo appresi dopo, il significato di fondo. Questa immagine di un paese dove non ero mai stato e di cui non parlavo la lingua era senza ambiguità, semplice e forte. Ora e adesso, devo rendere omaggio a questa immagine perché, una volta installato negli Stati Uniti, l’esperienza mi ha mostrato anno dopo anno che era un riflesso sufficientemente fedele della realtà americana. E’ stata la realtà americana che mi ha permesso di fare i miei primi passi in questa società, peraltro difficile da comprendere, e ad accettare, e talvolta a rispettare per uno straniero. La cultura americana, per delle ragioni sia religiose che storiche, impone ai giovani, ai giovani adulti, di cercare di trovare il loro proprio posto, ad individualizzarsi dai loro parenti e dai loro professori, e di creare da soli la loro vita, una identità, personale e professionale differente da quella cui erano predestinati.

Questo culto dell’individualismo è la prima cosa che mi venne dimostrata della cultura americana. La vidi per caso, ma senza poterla non percepire, su uno schermo televisivo al mio arrivo nel 1985. Là, davanti a me, si svolgeva un incontro di sport collettivo, dove il nome di ciascun giocatore era scritto sul retro della maglia. Questa norma, che era già vecchia oltre Atlantico, non esisteva ancora in Europa: arrivò più tardi e proveniva …..  dagli Stati Uniti. In maniera meno aneddotica e più profonda, l’individualismo come valore culturale fondante spiega in parte perché l’economia di mercato sembra avere la taglia sulla misura proprio per gli Stati Uniti. Uno dei risultati di questa cultura individualista in un paese protestante dove il capitalismo, come ha scritto Max Weber, può crescere senza interferenze è di avere generato una ricchezza individuale prodigiosa in quanto proporzionale alla taglia del Paese. Gli Stati Uniti hanno più la taglia di un continente che non di un Paese.

Anche se può esserlo, questa ricchezza individuale è raramente antica; questa si rinnova di generazione in generazione grazie al progresso della tecnologia, alle opportunità che questo progresso offre a degli avventurieri dell’individualismo e del profitto che mettono in pratica gli americani. E’ possibile che la cultura sia cambiata profondamente in Europa, non lo posso sapere; quello che so, per contro, e che, quando ero studente adulto negli anni 1970 e 1980, l’individualismo non aveva né la stessa vivacità né lo stesso credito in Francia e nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale, rispetto agli Stati Uniti, e tutto questo dopo la loro creazione. Non era, almeno in Francia, un valore culturale, un pilastro della società, ma una anomalia, che poteva essere applaudita o criticata, ma pur sempre una anomalia. Ne l’individualismo ne il successo materiale avevano e probabilmente non hanno lo stesso prestigio quasi unanime in tutte le nicchie della società della nostra parte dell’Atlantico. Ogni individuo ambizioso, coraggioso ha negli Stati Uniti una possibilità di successo, di successo puramente individuale, in funzione delle proprie qualità, della sua capacità ed esperienza e della sua tenacia. Ancora di più, tutto questo è, ai suoi occhi, un diritto e addirittura un dovere di provarci. Una conseguenza di questa differenza nella percezione dell’individualismo tra i due paesi, se non nei due continenti, è che l’America fascinava e serviva, e, io credo, serva sempre, di referenza positiva oppure di sprone quando un tentativo di riforma, non importa quale aspetto della società, viene diminuito.

Ironia della sorte, questo fascino dell’America stupisce …. gli americani, quando visitano l’Europa. Questi turisti ignoranti, che non sanno niente delle difficoltà e dello sforzo individuale, del “cavaliere solitario” in certi paesi d’Europa, e che, proprio per la loro cultura, non potrebbero comprenderlo, vengono stupiti per il fascino del loro paese, che per loro non ha niente di esotico, fascino che esercita sull’Europa e la percepiscono immediatamente. Niente può essere gratuito in questo mondo, ed ogni faccia della medaglia ha il suo risvolto. Una conseguenza obbligata di questo individualismo forzato, una conseguenza onnipresente, e che urta ogni europeo che lavora negli Stati Uniti, è l’egoismo, che non è così distante, così distinto dall’individualismo. Là (negli Stati Uniti) come altrove, il risultato personale, qualunque sia la definizione, è lo scopo della vita.

Se questa definizione è puramente professionale e individuale, come allora ogni cittadino di questo paese non potrebbe o non dovrebbe cercare prima (e spesso solamente) ciò che è per lui un profitto sotto il profilo professionale o sociale?

Questo egoismo conosciuto, senza alcuna valenza negativa e praticato da tutti dopo l’età della ragione, implica che ciascuno non deve avere della lealtà che solo verso se stesso. “Everyone is in it for oneself” (ciascuno cerca di trarsi d’impiccio nel gioco, da solo) dice il detto americano. Questa lealtà strettamente limitata a se stesso, se stesso è riferito ad una persona ma anche ad una struttura sociale come un’impresa oppure, nel mio caso, una università, spiega il dinamismo, la fluidità professionale, questa impressione che non solamente non è mai acquisita ma anche che l’interlocutore di oggi può non essere quello di domani. Ogni impiego, ogni percorso di carriera, è prestato all’individuo e può essere ripreso o interrotto se l’interesse della comunità o di una persona gerarchicamente superiore a lui, l’impone. Inversamente, ed è così vero e frequente, ognuno può decidere di abbandonare da un giorno all’altro il suo impiego per un altro, più remunerativo o più elevato o soddisfacente. Facendo così, questa persona sa perfettamente che tutto il mondo comprenderà e avallerà la sua scelta. Questo egoismo a doppio senso, quello dell’individuo come quello della struttura nella quale opera o vive, dà alla società la sua precarietà, la sua instabilità, e nutre l’impressione che non vi è lealtà che verso se stessi.

Questo continuum non si ferma là: come è difficile di non andare dall’individualismo all’egoismo, si può velocemente scivolare dall’egoismo alla solitudine. Questa solitudine, che non è da criticare, non sembra essere ne triste ne dolorosa; essa viene scelta e, in qualche maniera, è costitutiva della società. Essa fa parte, per un americano, dell’ordine delle cose, dopo l’infanzia fino alla morte. Esiste sulle amicizie reali o durevoli ma, se queste non sono nate durante l’infanzia o nell’adolescenza, e sono i casi più frequenti, sono raramente legate al mondo del lavoro. Fino a prova contraria, noi sappiamo tutti che, se un collega ci consulta, ci chiama o vuole pranzare in nostra compagnia, non è per il piacere della nostra compagnia, ma per soddisfare un aspetto preciso della sua attività, per domandare un servizio o andare avanti nella sua carriera.

Vi è, io credo, una ambiguità fondamentale, quasi un conflitto endogeno, tra libertà personale d’intraprendere e un’altra realtà americana: la democrazia. Si potrebbe definire una democrazia ideale, nella sfera politica come nella società civile, come una società diretta, senza freni di alcuna specie, dalla maggioranza. Anche se non esiste una democrazia ideale in questo mondo, è obbligatorio riconoscere che l’essenza della democrazia, definita come esecuzione senza difficoltà della volontà della maggioranza, è stata, sino ad ora, più efficiente negli Stati Uniti che in qualsiasi altro paese con delle istituzioni democratiche. Alcuni eventi recenti non ci possono far dimenticare che è la forza nuda della maggioranza che ha potuto imporre la fine di una guerra impopolare, che ha potuto diminuire le discriminazioni razziali, e che ha imposto le dimissioni ad un Presidente eletto due anni prima in maniera trionfale. Non è vero che ne abbiamo testimonianza di quanto è successo tra il 1965 e il 1975? Come tutto questo, come questa capacità ad accettare ogni movimento imposto dalla maggioranza, quale sono state le dimissioni di Nixon, non poteva corroborare il fascino europeo per l’America? E’ ugualmente questa volontà appena intravista, violenta e instabile, che, più vicino a noi, ha potuto far eleggere alla presidenza degli Stati Uniti un cittadino nero intelligente e bene intenzionato.

Tutti gli esempi che cito sono di natura politica, ma la politica di un paese è il riflesso della sua società e non è un azzardo, per esempio, se, negli Stati Uniti, non c’è posto per un terzo partito che sarebbe minoritario. Questo dominio senza intralci della maggioranza, del potere conferito alla maggioranza, esiste altrettanto bene in tutte le strutture professionali che include più di due persone. I rapporti sociali e professionali sono semplicemente dei rapporti di forza, nei quali nessun appello è possibile. E’ questo che dà alla società americana, sotto coperta di una grande e reale cortesia, la sua durata e la sua violenza. Scrivere questo non significa che in qualsiasi paese d’Europa occidentale, dotato di istituzioni realmente democratiche, non siano delle democrazie. Nella struttura e nello svolgersi della loro vita politica, sono dei paesi democratici con la stessa valenza degli Stati Uniti. Ma vi è una differenza di grado che si manifesta dopo il voto, dopo che la maggioranza si è pronunciata. Per quanto io conosca, la forza nuda della maggioranza non è sufficiente, ad esempio in Francia, per imporre una legge o una riforma, e questo non mi pare che sia cambiato. Non è sufficiente che ad una maggioranza, che sia elettorale nella società o finanziaria in una impresa, o detentrice del potere in un’altra struttura, di essere una maggioranza che possa trasformare la sua volontà da un giorno all’altro, senza intralci, in azione. Ci sono numerosi meccanismi, alcuni dei quali non debbono necessariamente avere una maggioranza, per rallentare, per impedire la volontà della maggioranza e rendere difficoltosa l’esecuzione della democrazia. Questi meccanismi possono essere l’appello ai sindacati o la minaccia di uno sciopero, così distruttiva che impopolare, l’applicazione di una struttura amministrativa dimenticata, farraginosa ma legale, che agisce come un contro potere, l’intervento di una personalità importante, ecc. ecc.

………

Quali possono essere le conseguenze individuali e professionali del buon funzionamento delle istituzioni democratiche, del potere non o poco ostacolato della maggioranza?

Una volta che un individuo si vede conferita la maggioranza, possono essere gli azionisti di una società, dei donatori, il presidente o il dominus di una università privata, ecc., di un impiego e le responsabilità che sono afferenti, lui deve riuscire, vale a dire materializzare la volontà e gli obiettivi degli investitori nell’impresa, del suo padrone nel suo impiego, in una parola gli obiettivi pretesi dalla maggioranza. E’ la sola sua missione.

Lo sa, perché sa che le istituzioni democratiche funzionano, che il suo impiego vale solo se ottiene quel preteso successo. Sa anche che coloro che sono sotto di lui e che lui dirige devono solamente agire per ottenere gli obiettivi che lui ha loro assegnato, senza alcun appello, e che costoro non possono andare a lamentarsi dal suo padrone perché questi ha investito lui della sua autorità e non desidera che il disordine si immischi in una situazione così semplice, così efficace. Venendo in Francia (ed in Europa) dove “protestare” è non solamente una costante ma è accettato culturalmente, come (la protesta) possa avere una certa efficacia sociale, questo è sorprendente e può dare l’impressione che negli Stati Uniti non vi sia la stessa libertà di espressione (per espressione di intende la possibilità di opporsi del tutto impunemente) che in Europa. Questa assenza apparente di meno libertà civile, intesa come la possibilità d’introdurre il disordine, di mettere un freno alla volontà della maggioranza, alla sopravvivenza di rumori anche profondi, e, in effetti, di natura essenzialmente patriottica, ed hanno caratterizzato la società americana negli anni 1960 con la guerra in Vietnam, l’emancipazione dei Neri e l’aspirazione di questo periodo a forgiare una società più vicina ai principi dei Padri fondatori. Questa democrazia americana è sopravvissuta perché una democrazia che funziona bene mette necessariamente la museruola ai dissensi della minoranza per il bene della comunità. Questo può urtare un visitatore, soprattutto se proviene da paesi latini; e costui ci mette poco a non comprendere la società americana, a criticarla, e al finale a preferire la propria (del suo paese di origine) forma di democrazia. Questo è, a mio modo di pensare, un controsenso. La forza della società americana, il fatto che funzioni ancora bene, viene dal fatto, per quanto ciò sia possibile, che il potere della maggioranza è assoluto.

…..

Inversamente la minoranza, non può farsi ascoltare negli Stati Uniti fino a che resta minoranza, e quindi non ha alcun potere, ed è quella rappresentata in certi libri di John Steinbeck, in Easy Rider ed altri film che nella stessa epoca furono mal compresi: la minoranza perde sempre.

Se non serve a niente esprimere la propria opposizione ad una decisione presa ed imposta dalla maggioranza, allora la solitudine individuale ne esce rinforzata, quasi giustificata. Ognuno, sapendo che è vano esprimere oralmente il proprio malcontento se è isolato, cerca allora di trarsi fuori “Everyone is in it for oneself”. Questa seconda realtà non è opposta né alla libertà di intraprendere né all’individualismo. Al contrario, vi è favorevole. Ognuno sa che negli Stati Uniti non serve a niente parlare; è necessario agire, solo le azioni ed i risultati contano. Se vi è, o potrebbe esserci, confusione, questa nasce dall’uso indefinito e troppo liberale della parola “libertà”. “Libertà di intraprendere” non vuol dire, e non ha mai voluto dire “libertà di opporsi”. Al contrario, tutto come la natura ha orrore del vuoto, la libertà d’intraprendere ha orrore del disordine con il quale è possibile arrestare il processo democratico maggioritario. “Libertà d’intraprendere” e “libertà civile individuale” nel senso latino del termine sono largamente antinomiche. So che quanto ho scritto può sconcertare, sorprendere; e soprattutto, questo potrebbe alimentare un antiamericanismo errato ma sempre vivace. Mi spiace, perché questo atteggiamento errato evita di porsi la questione più importante, che è di sapere perché questa limitazione apparente non fa assolutamente diminuire l’attrazione che gli Stati Uniti esercitano sui poveri, ma anche sui ricchi di tutte le nazioni. Vi è più di una ragione e di senso sul fatto che ogni anno, indipendentemente dalle vicissitudini della loro vita politica, gli Stati Uniti continuino ad attirare un numero importante di immigrati diplomati, altamente qualificati, provenienti dall’Europa e/o da altri paesi democratici e sviluppati. E non è impossibile che una parte significativa di questa immigrazione di qualità sia dovuta al timore di avere difficoltà nel riuscire all’adempimento professionale a causa di certe forme di disordine, di edonismo intellettuale e che mettendo la riflessione prima dell’azione corrispondono meglio a ciò che molti scelgono di voler fare della loro vita nella nostra epoca.

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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5 Comments

  1. Ambrogio Galbussera  - 2023-05-02 - 1:02 PM

    Prime impressioni:
    1) Esprime una convinzione che solo in America ci sia vera “libertà”
    2) Afferma che in Europa ed in altri realtà mondiali esista solo “caos” dettato dall’opposizione
    3) La tua libertà è valida solo se esegui fino in fondo il lavoro che ti é stato assegnato da un “capo”
    4) Le tue idee sono solo disfattiste se non collimano con quanto sopra
    5) Devi solo essere uno che esegue dettagliatamente un compito, la tua idea non conta nulla
    e potrei continuare all’infinito
    Non conoscendolo a fondo direi che é il classico tipo che non ha potuto realizzarsi in Europa ed ha cercato negli Stati Uniti un nuovo “regime” che lo possa inquadrare…. purchè non abbia idee sue… , se le venissero in mente deve cambiare lavoro.

    • Flavio veneroni  - 2023-05-02 - 1:09 PM
      /

      L’Autore aveva una alta funzione anche in Francia. Il suo obiettivo è quello di evidenziare i troppi intralci che vi sono in Europa, anche se la sua esperienza è limitata alla Francia, per la gestione della decisione da parte della maggioranza. Considera la maggioranza anche se lavora da dipendente. Non è una critica al sistema, per me, che condivido quando scrive l’autore, è una osservazione che condivido. Se ho una missione (l’ho creata o l’ho avuta, questo conta poco) DEVO avere la libertà di esercitarla in toto senza intralci, o, per meglio dire, con meno intralci.

  2. Ambrogio Galbussera  - 2023-05-02 - 1:07 PM

    Gli Stati Uniti hanno fatto molti danni:
    1) guerre intraprese per assoggettare popoli che non condividevano la loro politica
    2) distrutto una realtà espressa da popolazioni che hanno vissuto nel loro territorio.
    3) hanno impiegato tantissimi anni per cercare di eliminare le diseguaglianze fra le varie razze che vivono negli Stati Uniti, e non ci sono ancora riusciti!
    Questa per me non é vera democrazia

    • Flavio veneroni  - 2023-05-02 - 1:20 PM
      /

      Il mio parere su gli USA è molto vicino al tuo. Ma l’articolo in questione non aveva questo come obiettivo la politica degli stati.
      L’obiettivo dell’articolo è una società nella quale se viene dato un mandato (come individuo, come dipendente, come operatore) si dovrebbe considerare anche che nel mandato uno possa esprimersi come vuole. Senza dover sottostare ad intralci. Questo non vuol dire che prima di accettare un mandato uno debba fare chiarezza sui limiti. Ma se accetti il mandato allora devi compierlo e rispondere con i risultati.
      Le diseguaglianze sono continuamente presenti ma questo non è l’obiettivo dell’articolo.

    • Flavio veneroni  - 2023-05-02 - 1:27 PM
      /

      C’è stato anche il 25 aprile. Mi rifaccio a dei post scritti anni fa. Come sai nel 1945 io avevo 1 anno, non so tu. Per sapere come si è svolto il 25 aprile ho chiesto a mio padre di raccontarmi la sua di giornata, e trovi il post nella categoria, mi pare, personale. Nella stessa categoria trovi anche una mia pseudo intervista a Pino Piller, che era stato un nostro collega, che a 21 anni era stato portato a Mathausen per 18 mesi. Giusto per sapere direttamente l’esperienza vissuta nei due casi. Quanto vengono i giorni della memoria vado a rileggermi le esperienze vissute direttamente dalle persone. Sono esperienze limitate. Ma, quanto meno, loro c’erano. Dopo i racconti di mio padre e di Pino Piller, sono andato a comprare la storia di Mussolini, che come sai non l’abbiamo mai conosciuto, scritta da Renzo De Felice. De Felice era un comunista, che faceva parte della direzione del PCI, ma che nel 1956, se non ricordo male, dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’URSS, era uscito dal PCI perché non approvava l’invasione. Non ho conosciuto De Felice. Ho voluto sapere anche da lui, leggendolo, la sua critica anche molto feroce.

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