Il senso
2024-12-03non sempre ciò che capiamo è quanto tratteniamo da quello che ci viene detto e non sempre ciò che campiamo poi lo applichiamo e se lo applichiamo facciamo del nostro meglio.
La persecuzione degli ebrei.
E una libera traduzione di Gerard Maarek, conosciuto dagli economisti e sociologhi, in quanto ha avuto un ruolo importante presso INSEE e nella scuola di applicazione. Vive in Israele ed ha scritto l’articolo per tutti coloro che dimenticano il debito profondo dell’Europa nei riguardi di Israele e del popolo ebreo, e dovrebbero meditare.
Conoscere per poter aggiornare il proprio atteggiamento e comportamento.
Questo articolo è una testimonianza che viene da Israele. Anche se parla in prima persona, riferisce l’opinione di una maggioranza di cittadini ebrei di questo paese, non incondizionatamente propensi alla “Peace Now” , ne sostenitori della colonizzazione. La prima cosa da dire è che è una proposizione disincantata. Sessant’anni dopo la creazione dello Stato, la pace non è ancora arrivata. Venticinque anni dopo gli accordi di Oslo, il contenzioso con gli Arabi di Palestina è intatto, ed i popoli vicini persistono nelle loro ostilità, che abbiano o meno proceduto ad uno scambio di ambasciatori.
Anche l’inquietudine è un sentimento largamente condiviso. Le minacce sono multiformi, razzi che sconvolgono le frontiere, boicottaggio, terrorismo. Gli Israeliani conoscono le fragilità della società nella quale vivono. Ecco che ora i loro nemici hanno dei sostegni dovunque nel mondo, che mettono in pericolo delle comunità ebree vulnerabili.
Infine domina la sconforto, la delusione. Delusione nel constatare che, tre quarti di secolo dopo la liberazione dei campi di sterminio, gli uomini politici europei fanno una lettura superficiale degli avvenimenti e aderiscono in maggioranza alla narrazione dell’avversario.
Pur soggettiva che sia, questa analisi struttura oggi la psicologia del popolo israelita e detta le sue scelte elettorali e di sicurezza. Avendo rinunciato a trovare una spiegazione convincente a questa situazione e rifiutando di credere che ne sia il solo responsabile, viene da pensare che la storia del moderno Israele si inscriva nel tempo lungo, che non ci sia una soluzione di continuità tra l’esilio bimillenario del popolo ebreo e la sua condizione attuale, che ad ogni generazione, dei nemici si presentano per distruggerlo: penosa situazione di dejà vu.
Oppressori e oppressi
In tutti i tempi, gli Ebrei, sono stati perseguitati. Questa lunga storia, fatta di maltrattamenti, di esclusioni, di conversioni forzate, di uccisioni e di progrom , ha avuto il culmine nel massacro di massa perpetrato in Europa negli anni 1930 – 1940. Non cercherò in questo articolo di analizzare le cause dell’antisemitismo, della giudeofobia, in breve dell’odio verso gli Ebrei. Questo fenomeno ha ricevuto, ad oggi, numerose spiegazioni che risulterebbe troppo lungo cercare di sbrogliare. L’unico mio obiettivo è di mostrare che contrariamente alla doxa ambientale, la condizione degli ebrei non è cambiata. Durante 2000 anni, questo popolo senza terra è stato ospite di altri popoli, sovente non desiderato, a mala pena tollerato. La creazione dello Stato di Israele poteva lasciar pensare che, il suo errare finito, sarebbe ritornato alla normalità e all’anonimato di una nazione tra le tante altre. Ahimè, non è stato per niente così.
Di più ancora, per un improbabile rovesciamento di prospettiva, questo popolo per lungo tempo oppresso appare oggi, agli occhi di molti, come un oppressore, un usurpatore, un colonizzatore di un paese a lui estraneo. Un popolo in soprannumero dunque, che imporrebbe la sua presenza con la forza e la violenza.
Piuttosto di esibire i titoli di proprietà che detengono gli Ebrei sulla loro terra ancestrale, io mi accontento qui di mostrare che l’oppressore non è quello che si crede, che coloro che si pretendono oppressi sono in realità degli oppressori, che prolungano la lunga catena delle persecuzioni inflitte agli Ebrei.
Le apparenze sono ingannatrici. La potenza militare, la superiorità tecnologica d’Israele sono dei beni fragili.
Il numero gli gioca contro, 1 miliardo e seicento milioni di mussulmani sembrano sempre perdenti di fronte a 6,5 milioni di Ebrei. Il tempo gioca contro di lui, la demografia gioca contro di lui. Vivere con la spada in mano non è una cosa facile. Ed è questa necessità vitale, imposta dai suoi nemici, di mai poter abbassare la guardia, che è senza alcun dubbio la forma più perversa di oppressione. Solamente Israele, tra gli altri duecento Stati che seggono all’Onu, conosce una esistenza così precaria. Che gli Ebrei siano prosperi e che i mussulmani sovente bisognosi, non cambia niente alla realtà dell’impresa dei secondi sui primi. I tormenti che gli Arabi di Palestina fanno subire ai loro vicini Ebrei sono differenti. In questa attività nella quale sono impegnati da più di un secolo, ricevono l’assistenza di numerosi alleati. I paesi mussulmani unanimi e quasi tutto il mondo in sviluppo sono acquisiti dalla loro causa, tanto che Russia e Unione europea non cessano di manifestare a loro simpatia e compiacenza. In attesa, quanto di meglio e di più dal terrorismo quotidiano, essi conducono una guerra psicologica, che ha come obiettivo quello di minare l’animo degli Ebrei e conquistare le opinioni pubbliche straniere. Se il contesto appare differente, le pratiche sono identiche a quelle degli antisemiti della prima ora.
Calunnie, menzogne, e falsificazioni.
Tale è il metodo più utilizzato, quello già impiegato dagli autori del Protocollo dei Saggi di Sion. I propagandisti della causa palestiniana si sono dati ad un vasto esercizio di riscrittura della Storia, alla diffusione incessante di false informazione (fake news ante litteram), all’induzione dell’errore nel senso delle immagini e delle parole. Questa attività riguarda tutti i registri.
Quello del lontano passato. La presenza secolare degli Ebrei nella loro terra, l’esistenza del Tempio di Salomone e di Erode vengono negati. La fantasia arriva ad affermare che Gesù era palestinese e che gli arabi di Palestina discendono dai Cananei, e questo, in maniera bizzarra, negherebbe la loro arabità. Il Corano, redatto dodici secoli dopo la Thora, fa prova della stessa immaginazione appropriandosi dei profeti dell’ebraismo e accusando gli Ebrei di aver contraffatto ex ante il testo biblico.
Lo stesso dicasi per quello dei tempi moderni. Il sionismo viene assimilato ad una forma di colonialismo. Una nazione palestinese sarebbe preesistita, quando la Palestina, essendo un mandato, non è mai stata che una provincia degli Imperi romano, bizantino, omeyyade, ottomano, e altri ancora. La partenza delle popolazioni arabe nel 1948 sarebbe stata provocata dalla forza militare israeliana, quando invece, tale partenza, venne incoraggiata dai loro dirigenti. La Shoah non ha avuto luogo. Si parla delle frontiere del 1967 per designare le linee dell’armistizio del 1948. Si parla di territori occupati, quando il loro statuto deve essere oggetto di negoziati di pace (risoluzione 242 dell’Onu).
L’attualità del conflitto è occasione di annuncio di altre contro verità. L’accusa di apartheid, di morti di bambini e di civili, non corrisponde per niente alla realtà. Questa attività è vicina al blood libel del tempo del Medio Evo, che venne riattivata dai nazisti. Ci si sfinirebbe nel denunciare le litanie delle menzogne proferite dai nemici di Israele. Tutto questo sarebbe derisorio e qualche volta risibile se non fosse il mezzo di seminare il dubbio in uno spirito bene intenzionato. Questa impresa di mistificazione ha degli effetti concreti e palpabili nel campo diplomatico. L’Unesco non ha apportato la sua approvazione ufficiale a questa nuova forma di revisionismo? Lo stato d’Israele e la diaspora non sono costretti ad una mobilitazione permanente e faticosa per giustificare e smentire queste affermazioni? “Calunniate, calunniate, sempre ne resterà qualche cosa.”.
La doppia difficoltà
Un’altra forma di difficoltà, più sottile, in cui si trovano le prime manifestazioni nell’antisemitismo tradizionale, rileva quello che presso gli psicologi viene chiamato la doppia difficoltà oppure l’obbligo paradossale, in inglese double bind. Consiste in due ordini, espliciti o impliciti, intimati a qualcuno che non può soddisfarne uno senza violare l’altro. Gregory Bateson, fondatore della Scuola di Palo Alto, la definisce “Voi siete i dannati se lo fate, e siete dannati si non lo fate.”. Gli stereotipi antisemiti che hanno avuto luogo in precedenza in Occidente utilizzavano questo meccanismo. Così gli Ebrei erano cupidi e interessati. Il loro amore per il denaro ne ha fatto i maestri della finanza. In realtà, il prestito ad interesse, essendo proibito ai cristiani, era una attività di cui si occupavano gli Ebrei, in quanto necessaria. In effetti vengono presi in un circolo vizioso: l’usura è moralmente reprensibile, ma viene loro ingiunto di praticarla. E questo li rende condannabili. Altro esempio: il portare un arma era loro proibito, non potevano difendersi quando venivano attaccati o offesi. Essi apparivano come sprovvisti di coraggio. Lo stesso dicasi per la proprietà fondiaria, dalla quale erano esclusi. Da questo la considerazione che fossero inadatti ai mestieri della terra, il passo è breve. Altro esempio: dovevano convertirsi per essere ammessi nella società del paese di accoglienza. Ma, se lo consentivano, la loro lealtà era sospetta in quanto si supponeva che l’avessero fatto per interesse. La Chiesa ha per molto tempo tenuto questo atteggiamento verso i conversos spagnoli (marrani). La doppia difficoltà è presente a pieno nelle relazioni che gli israeliani hanno con i loro nemici. Questa volta con un gruppo di accuse rinnovate dato che quelle del passato hanno perso molto del loro contenuto.
Israele pretende di essere una democrazia esemplare, rispettosa della libera espressione? Allora i suoi avversari possono continuare ad ingiuriarla, comprese le ingiurie nel Parlamento, la Knesset.
Israele protesta, tenta di sanzionare i fatti più gravi? Ecco la prova che non è uno stato democratico.
Israele dice di avere un esercito per la difesa, rispettoso delle popolazioni civili. Quando risponde agli attacchi, e che vince, quando della gente muore per essere stati spinti dai loro dirigenti, certi vedono in questo la prova che Israele non rispetta il codice d’onore che proclama. Breve, ieri come oggi, gli Ebrei sono messi, cinicamente e viziosamente, in difficoltà psicologiche, da cui escono a fatica. I loro nemici riescono così ad essenzializzarli, disegnando una figura ebrea odiabile e spregevole.
Il ritorno della violenza
La tela di fondo dell’esistenza ebrea nella storia è questa. “Il giudaismo non è una religione, ma una malattia.”, diceva Heinrich Heine (lui stesso ebreo). Alle spinte di violenza fisica si aggiunge di tempo in tempo la violenza psicologica che producono delle morti a decine, a migliaia, a milioni. Gli atti antisemiti sono diminuiti dopo la Seconda Guerra mondiale, in Occidente sotto il peso dei rimorsi, nei paesi arabi per colpa degli ebrei, tutti erano fermi in partenza. La risorgenza recente della violenza antisemita inquieta le anime buone. Bisogna rifiutare questa errata interpretazione. No, la violenza fatta agli ebrei non è mai cessata, la Shoah è stato il suo apogeo, ma non il suo punto di pausa. E’ stato un susseguirsi di una sequenza ininterrotta di aggressioni ed il nuovo stato ebreo è diventato l’obiettivo principale. Dopo l’ostruzione dei Britannici all’immigrazione in Palestina, è stato necessario affrontare nel 1948 l’aggressione dei paesi arabi coalizzati, poi, in posizione di legittima difesa, la guerra del 1967, chiamata dei Sei Giorni, e la guerra del Kippour nel 1973. Vennero in successione le operazioni militari in Libano dal 1982 al 2000, e di nuovo nel 2006. Dopo l’evacuazione di Gaza, Tsahal ha dovuto intervenire nel 2009, 2012 e 2014 per far cessare la pioggia di razzi che si abbattevano sulla popolazione civile. In questa lista si devono includere anche Intifada 1 e 2. Questa guerriglia urbana non è che una modalità di aggressione armata che subisce Israele da decenni.
Anche i Persiani si sono gettati nella mischia. L’Iran dei mollah non finisce di chiamare alla distruzione di Israele. I suoi affiliati, Siria, Hezbollah e Hamas, hanno intrapreso il lavoro. La minaccia è diventata essenziale dopo che l’Iran è sul punto di venire in possesso dell’arma nucleare. Infine, ecco che le comunità ebraiche della diaspora subiscono gli stessi attacchi, sotto la copertura dell’antisionismo; il quale non è mai stato che una espressione particolare dell’odio degli Ebrei, perché consiste nel negare a questo popolo, e a questo popolo martire solitario, costituito in corpo politico dopo l’antichità, il diritto di essere uno Stato sovrano.
Un momento parossistico
Il quadro che veniamo disegnando lascia pensare che gli Ebrei vivono un’altra volta nella loro storia un momento di grande difficoltà. Sono esposti ad una persecuzione di natura psicologica, che ha l’obiettivo di metterli sotto pressione sulla scena internazionale. Si aggiungano anche le violenze la cui intensità non diminuisce. Nella diaspora il movimento di boicottaggio, dei disinvestimenti, delle sanzioni (BDS) è stato raggiunto dalla violenza fisica del terrorismo. Nel Medio Oriente, le prospettive di un accordo di pace si sono stabilmente allontanate, e lo Stato di Israele è periodicamente confrontato a delle guerre difensive. L’antisemitismo politico, il fatto di tutto i paesi che non riconoscono lo Stato di Israele, il mondo mussulmano in testa, e che hanno bandito gli ebrei dal loro territorio, è adesso accompagnato da un antisemitismo popolare, che si esprime nei media e nelle strade con una grande viralità. L’occidente è ormai contaminato, tanto che i governi democratici guardano da un’altra parte o si limitano a delle proteste del tutto formali.
Il passato ha registrato simili fiammate dell’odio verso i Giudei. Ma il fenomeno era generalmente circoscritto in un’area geografica, e non riguardava che una comunità particolare. Oggi, in un mondo più globalizzato, l’antisemitismo è diventato anche lui un fenomeno globale: da Rabat a Giacarta, da Parigi a Malmo, da Gaza a Gerusalemme, la persecuzione degli ebrei prosegue con la parola e con i morti.
Delle nuvole si accumulano all’orizzonte. Ma cosa si nasconde dietro? Come si risolve generalmente questo fatto? La storia ci insegna che alla fin fine gli antisemiti lasciano alle loro vittime “la scelta tra tre alternative: convertirsi, emigrare o morire” . Quale è la percentuale in ciascun di queste opzioni oggi?
La conversione nel senso stretto del termine non è più di attualità, anche se questa opzione ha contribuito largamente nel passato alla evaporazione della popolazione ebrea nella Spagna dell’Inquisizione, o nella Germania del XIX secolo. Oggi la Chiesa vi ha rinunciato e l’Islam si è sbarazzato dei Giudei. Pertanto una conversione degli spiriti è sornionamente in atto in Europa e Negli Stati Uniti. Degli Ebrei, desiderosi di fondersi con il paesaggio si sono allineati al politicamente corretto. Avidi, di sentirsi riconosciuta una posizione equilibrata, distanziata, alimentano una narrativa della parte avversaria. “E’ certamente vero, poiché sono gli stessi ebrei che lo dicono”. Questi ebrei sono degli utili idioti al servizio di una causa mortifera. Diventano la cauzione morale dei loro propri nemici, i movimenti quali J Street o J Call.
Seconda opzione: emigrare. La fuga incessante davanti al malessere ha avuto luogo puntualmente lungo tutta la Storia, dopo la caduta di Gerusalemme nel primo secolo dell’era comune, sino all’espulsione di un milione circa di Ebrei dai paesi arabi nel 1948, passando dal si salvi chi può nella Germania nazista oppure in URSS. Ancora oggi, in Francia, gli insulti inflitti agli Ebrei, li mettono sulla strada dell’alyah in Israele o sull’esilio in Canada. Ma questa soluzione, anche se Nasser la sognava o se gli Arabi di Palestina ne sognano ancora, non vuoterà la Palestina storica dei suoi abitanti ebrei, sia riguardo al loro numero e sia all’assenza di qualsiasi base di ripensamento.
Terza opzione: morire. Gli Israeliani, cittadini di uno stato sovrano, dotato di forze armate potenti, hanno oggi la capacità di opporsi alla riedizione del passato, i macellai dell’Inquisizione ed i campi di sterminio. I paesi, Iran o qualche altra satrapia, che tentassero di imporre questa soluzione dovranno attendersi una reazione di grande brutalità. L’avvenire di tutti gli Ebrei, delle popolazioni del Medio Oriente e di altri parti, se la vedrà allora con le armi.
Nel dramma in gioco vi è stato il momento di salutare l’alleanza sia morale che militare con gli USA. Ma è necessario puntualizzare la responsabilità particolare degli Stati dell’Europa. Hanno preso il ruolo di confortare gli Arabi e le loro esigenze. Questo ha il solo effetto di prolungare il conflitto, lasciando loro la speranza di guadagnare la prossima battaglia, dopo aver perso tutte le precedenti. Gli Europei fanno la morale agli Israeliani, dimenticando i loro propri misfatti passati e presenti. La sola attitudine degna avrebbe dovuto essere di confermare agli Arabi la loro disfatta definitiva, imponendo loro una soluzione che soddisfacesse gli imperativi di sicurezza per Israele. Il debito che hanno nei confronti del popolo ebreo non è estinto, e ci si poteva attendere la solidarietà per le loro vittime di ieri. Se una nuova conflagrazione avverrà, con i suoi morti e le sue distruzioni, gli Europei avranno le loro colpe. E sarà troppo tardi per implorare, ancora una volta, il perdono.
La sopravvivenza e l’integrità di Israele riposano sulla capacità di dissuasione, la paura che trasmette ai propri nemici. Questa situazione si prolungherà sino a che necessario, sino a che questi (i nemici degli Ebrei) si siano resi conto della loro resipiscenza (consapevolezza di commettere un errore). E’ lo scenario che bisogna augurarsi per il bene degli Ebrei e la stabilità del mondo libero.
Gerard Maarek
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