Memoria 02

Memoria 02

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Quel parlare di politica e di cose da fare che a me sembrava che si avesse la voglia di farle subito oppure la mattina dopo, tanto era la foga ed il consenso che chi parlava trovava negli altri. D’estate, sull’uscio di casa, che dava sulla strada, si formava un gruppetto di persone che arrivavano con la cadreghina ed i grandi parlavano di cose loro e sempre di politica, ma di politica terra-terra, dove i sciuri erano dall’altra parte della barricata con i preti e con la Democrazia Cristiana, mentre gli operai erano comunisti e si aspettava che anche al paese prima o poi sarebbero arrivati i russi. Mio padre aveva fatto la guerra di Russia, anzi la ritirata. Ma prima di andarci aveva vissuto un periodo di depressione, quando non si trovava il lavoro. “L’importante è che ci sia sempre da lavorare ed in Russia tutti hanno il posto di lavoro sicuro.”.

Di sera io giocavo con gli altri bambini a scundes e già iniziavano quelle piccole complicità, al buio, nel rallentare a rispondere. Finito di giocare si andava a dormire mentre i grandi restavano a parlare in strada. Di sabato e di domenica mio padre andava nelle balere a suonare il piano.

La domenica mattina si allestiva nella curt, il fugòn, per fare bucato. Mio padre preparava il fuoco, io mettevo poi la legna per non farlo spegnere. Mia madre nel sigiòn lavava usando il sapone squadrato. Si strizzava ed era un gioco, poi loro stendevano, il poco del tutto, su una corda sostenuta da forcelle biforcute di legno, le sbanége, che prendevo sotto il portico.

Ascoltare mio padre mi è sempre piaciuto. Era un parlare per esempi, per frasi fatte.

“Mio padre, tuo nonno, faceva i conti della famiglia ogni anno, al primo dell’anno, e nei conti riportava quello che era stato guadagnato e speso da ognuno. E voleva che imparassimo due mestieri, lavorare il legno e suonare uno strumento, perché non si sa mai, uno lo si può anche perdere, può venire una crisi, una novità. Ecco che io ho imparato il piano, e mi hanno mandato a lezione a Lodi, quando poi ha avuto la conferma che avevo disposizione mi ha comprato il piano, addebitandomi la spesa, piano più le lezioni, che avrei pagato con il lavoro. Mio fratello Mario, che era un falegname con i fiocchi, suonava il violino e lo suonava bene, ha suonato anche all’Isola di Lodi. Cèch, diminutivo di Francesco, suonava la batteria. La zia Cesira no, lei non suonava, ma cuciva.”.

E mi trasmetteva l’ansia di essere preparato a tutto.

“Qualche volta, continuava raccontandomi aneddoti di mio nonno, bisogna piantare i chiodi tenendo il martello con la sinistra, per abituarsi. Perché, se in un incidente perdi la destra, non sei impreparato.”.

Ascoltavo ed avevo la certezza di essere un privilegiato, mi sentivo di appartnere ad una famiglia non povera, non tanto come le altre: non avevamo bisogno di tenere animali, mio padre andava al lavoro ogni giorno ed ogni settimana dei soldi venivano depositati sul comò in camera, amministrati e custoditi da mia madre.

Andavo a scuola lindo e pulito e non avevo bisogno del patronato scolastico per disporre di penne e quaderni. Avevamo la sala, anche se non la usavamo. Non avevamo libretti dal panettiere, dal lattaio e dal salumiere, si comprava e si pagava.

Quel segna sul librét che sentivo per la maggior parte della gente quando ero nel negozio di mia zia Bambina, per noi non valeva. La mia famiglia era meno povera per confronto.

“Tuo nonno era socialista, un socialista convinto, preparato. Era il segretario della Società di Mutuo Soccorso e teneva i conti e si interessava su chi e perché meritava un aiuto. La Società riceveva dei sussidi dai fitauli del paese, dal famacista, dal medico, e tuo nonno teneva la gestione. Non amava i comunisti perché erano quelli che non avevano voglia di lavorare. La mamma di tua nonna, Ernesta Susani, quella era comunista, comunista convinta. Quando la portai a votare, in pieno fascismo, non vedeva più e prima di entrare nel seggio al suo posto mi diceva “vota el seghìss”. I fascisti ogni due mesi venivano a casa e rivoltavano ogni cosa, anche i letti. E tuo nonno diceva sempre “ma anca lu l’e stai socialista”. Mia madre gli diceva “Ma Biagio metti una fotografia, che ti costa, così evitiamo che rivoltano tutto.”. Ma lui no, lui era segretario della Società ed aveva i suoi ferri: “Con i miei ferri posso andare dovunque, un carro o un tetto lo so costruire senza bisogno di dire di si a nessuno.”.

 

Il carretto trasportava del vasellame. Era trainato da un cavallo enorme ed aveva le ruote di gomma. Maiolica era il conducente-padrone-venditore e per me veniva da chissà dove. Si fermava proprio davanti a casa nostra sulla strada perché c’era una rientranza che sembrava fatta apposta per quel carretto o forse perché mia madre aveva buon gusto e perché le altre donne venivano fin lì per scartare, vedere, toccare la merce e, talvolta, concludere.

Non so se Maiolica si fermasse lì perché mia madre aveva buon gusto oppure perché proprio vicino a noi c’era l’ufficietto del dazio, oppure per quella rientranza.

E così in sala faceva bella mostra di sé un vaso di vetro, in parte opaco, e con degli anelli, che conteneva delle spighe di vetro, soffici in cima e sventolanti, come quelle vere, ed un vaso a due fori di colore verde cupo con un ragno del colore dell’oro.

Ogni volta che li ho guardati anche in seguito, relegati in una casa di montagna, ricettacolo di tutte le cose inservibili, ma reliquie, mi ricordavano il Maiolica, il suo carro e l’enorme cavallo, che veniva da chissà dove con quel suo carico fragile.

 

“Ed in inverno ci si riuniva, raccontava mio padre, nella cucina, che allora era più grande, e facevamo i rastrelli. Io ero piccolo come te, e dovevo preparare i denti del rastrello”. E mi enumerava quanti rastrelli dovevano preparare per la buona stagione per la varie fattorie, la curt granda, i campagnoli, le gualdane, e di quanto legno serviva per rastrello e di come si utilizzasse tutto di una pianta.

 

E mi sentivo ricco anche perché non dovevamo fare i rastrelli. Non ero obbligato a lavorare se non era per vuotare il secchio, andare alla trumba per prendere l’acqua e tagliare la legna in pezzetti piccoli. Andavo anche dal latè ogni sera a prendere il latte, con un recipiente di alluminio con coperchio. Credo da due litri.

 

Alla domenica mia madre cuoceva la polenta sulla stufa, nel culdireul di rame. Polenta che si mangiava a mezzogiorno, con luganega cotta ed insalata, e poi in diverse maniere, nel latte, abbrustolita sulla stufa, sino al mercoledì. Il giovedì mia madre comprava il pane. Le prime lezioni erano nel comportamento di mio padre e di mia madre. Li vedevo risparmiare i soldi “perché non si sa mai”, ma i pochi vestiti che avevamo erano puliti, il freddo non lo soffrivamo, la fame neanche a parlarne.

 

E mi parlavano dei ricchi, che per me erano straricchi, che avevano ereditato, come i nostri padroni di casa, i Mantovani. Ma non valevano niente, avevano il potere, avevano i soldi, ma cosa erano capaci di fare?

Ecco perché uno deve essere capace di fare bene quello che fa, perché così è libero. L’operaio è libero perché se non gli danno quello che gli spetta se ne va. Va a lavorare da un’altra parte.

Ma se dall’altra parte non c’è lavoro?, chiedevo curioso.

Se sai lavorare bene il lavoro c’è sempre. Se sai lavorare bene hai sempre dove andare.

Ma per lavorare bene occorre imparare.

Mio padre, continuava nel racconto, ti faceva vedere come si deve fare a piallare, come usare il fermo di ferro, come tenere le mani. E io eseguivo, ma alcune volte, senza accorgermene, un po’ perché pensavo ad altro e un po’ perché ero stanco, andavo con la pialla a toccare il ferro. Da dietro, senza che me ne accorgessi, mio padre mi stava osservando già da un po’, e quando toccavo il ferro la seconda volta mi arrivava un calcio nel sedere. “Questa non è una repubblica”, mi diceva.”.

Questa frase me la ricordo ancora, perché se toccava il ferro si sarebbe dovuto fare il limaggio, e questo lo avrebbe dovuto fare mio nonno. Era il concetto della responsabilità del lavoro di gruppo.

Ma dopo un po’ che stai sotto un maestro devi andartene, per poter fare per conto tuo, altrimenti non impari più.

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ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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