La casa

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“Ma davvero nonno, non avevi la tv da ragazzo?”

Era una abitazione in via libertà. Una cucina, piccina picciò, un tinello con il piano, una scala che saliva alla stanza da letto al primo piano. Un portico con il banco da falegname di mio padre e la legna per la stufa e l’altalena.

La stufa era in cucina. Serviva per far da mangiare. Sull’alto vi erano due serie di cerchi concentrici sempre più larghi, e le pentole, poche, erano della dimensione dei cerchi. Era l’unica fonte di calore, stava a me tagliare la legna in pezzi che potevano entrare nella stufa. Lo facevo con una scure su un ciocco. Avevo altre incombenze andavo a prendere l’acqua alla tromba in cortile. L’acqua era per bere e per lavarsi. La prendevo con un secchio. Quando mia madre faceva bucato erano dolori. La tromba era nel cortile dove si affacciavano anche le case di altri dieci famiglie.

Andavo a prendere il latte dal latée. Avevo un secchiello con coperchio. Me lo riempiva a poi ritornavo a casa. Andavo ogni giorno sul finire del pomeriggio. Andavo a buttare la spazzatura in cortile dove c’era una buca con del letame. Letame? Si la cacca delle galline, dei conigli, la paglia bagnata di qualche pecora. Poche volte mia madre mi faceva svuotare il secchio con i nostri bisogni liquidi e solidi. ?????? Cacca e pipì. Non avevamo il gabinetto in casa. Si facevano i bisogni negli orinali (ceramica sotto il letto, di notte si riempiva ed al mattino si svuotava nel secchio), il secchio conteneva anche il resto. Al mattino veniva svuotato nel gabinetto (bugigattolo con un buco: una turca) nel cortile a fondo a perdere. L’odore me lo ricordo ancora oggi: pungente e persistente. Il gabinetto in cortile raccoglieva l’odore di tutte le famiglie.

Un’altra incombenza che mi piaceva era quella di mettere i pezzi di ghiaccio in estate nella giaséra che aveva costruito mio padre. Il blocco di ghiaccio veniva portato da un carretto, mia madre lo comprava e io lo spaccavo in pezzi che servivano per mantenere al fresco i pochi pacchetti. La spesa veniva fatta ogni giorno.

No, non avevo la televisione per il semplice motivo che nessuno l’aveva. Quando compì sette anni mio padre da Milano portò una radio, bianca, che mettemmo in cucina. Ogni sera mia madre, verso le sei e mezza, l’accendeva. Alle sette la sigla di ballate con noi. Poi mangiavano con la radio spenta. Veniva accesa dopo cena. Quando c’era una trasmissione teatrale la sentivamo tutti io stavo con il mento appoggiato al tavolo. Ogni sera appena dopo mangiato, si mangiava dopo che mio padre era ritornato da milano, operaio falegname in una ditta di pellicole fotografiche, in bicicletta, facevo sentire l’esercizio al piano che avevo provato nel pomeriggio. Mio padre mi faceva vedere l’esercizio seguente attirando la mia attenzione sul posizionamento delle dita: era il compito per la sera dopo, sera dopo sera.

Alla sera dormivo nel mio letto che aveva una piccola libreria sulla costa, con la luce incorporata. Leggere era una abitudine per mio padre, per mia madre ed anche per me. Nelle sere d’inverno si metteva nel letto el frà, specie di slitta di legno con un contenitore delle braci della stufa, in seguito sostituito con l’innovazione della bulle dell’acqua calda. Sul soffitto dei travoni all’interno si sentivano i topi correre.

Non avevo la tv ma non ne ho sentito la mancanza.

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ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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