Generazione CRAC

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Generazione CRAC

(nati tra il 1916 e 1925)

Il crepuscolo dei vecchi

La generazione crac ha oggi tra i 77 e gli 86 anni: è entrata nella vecchiaia con il sentimento di giocare i prolungamenti. Inattiva al 99%, si compone di famiglie che al 46% vivono in coppia. La popolazione è in netta maggioranza composta da femmine (58%), la cui speranza di vita è sensibilmente più lunga di quella dei maschi. I membri di questa generazione vedono la decimazione dei loro ranghi. Nel 2000 erano tre milioni mentre dieci anni prima erano ancora quattro milioni. Nel 2006 saranno ancora un milione meno, cominciando a provare il complesso del sopravvissuto o la “sindrome di Matusalemme”.

I loro padri appartenevano alla generazione mutante della Bella Epoque (1885-1894), quella di Hitler, di De Gaulle, di Charlie Chaplin.

Gli hanno dato dei nomi classici. Per i maschi: Giovanni e Andrea in prima linea, ma anche Piero, Renato o Marcello; per le femmine: Maria e Giovanna, leader incontestate per decenni, e ancora Simona, Maddalena.

Storia di un miracolo

Questa generazione sorprende in primo luogo per il forte contrasto tra l’inizio difficile ed il successo inatteso (anche dalla stessa) ottenuto per tutta la durata della sua vita adulta.

Quando i primi arrivano all’incontro dei loro vent’anni, nel 1935, vi è stato il rischio insurrezionale. Si installa la crisi. Il nazionalismo è alle frontiere. Con ritardo, la crisi del 1929 negli Usa, è calata in Europa. Si contano 500.000 disoccupati “senza diritti” (niente pensioni, niente assicurazione malattie); i fallimenti si moltiplicano; la svalutazione tocca la borghesia; i salari, in Francia ad esempio, sono amputati del 10%. Sempre in Francia nel febbraio del 1934, dopo le dimostrazioni antiparlamentari “sono tutti corrotti”, uno sciopero generale è seguito da dodici milioni di lavoratori. Il clima è preinsurrezionale. Il debutto della vita adulta viene fatto con “la sporca guerra”, le sconfitte, le ritirate, la vergogna delle sconfitte, duramente risentite anche perché si è stati intrattenuti dai propri padri dell’epopea della vittoria della Grande Guerra, le prigioni tedesche dove hanno soggiornato in quasi due milioni, con il sentimento di essere stati traditi da autorità incompetenti, di essere abbandonati da tutti.

Negli Usa si dirà di questa generazione che sarà stata, come quella della Crisi, la “generazione della porta chiusa”, a causa della disoccupazione che la fa da padrona dopo il 1929. “Ben vestita, ma senza alcuna meta di dove andare”. Malgrado tutto, elevata nel rispetto dello sforzo e della disciplina, stringe i denti ed avrà il sentimento, giustificato o meno, di essere all’origine della ricostruzione, del New Deal, e soprattutto della vittoria degli alleati che temprerà il suo carattere alla prova del fuoco e legherà il suo destino in quanto generazione.

Dopo gli inizi calamitosi, l’itinerario che segue ha del miracoloso. Sarà percorso sino alla pensione in un clima economico euforico, almeno per degli uomini che avevano conosciuto prima dei momenti davvero difficili. Questa frattura tra il tempo dell’apprendistato ed il tempo degli affari la obbligherà ad inventarsi una condotta. Gli risulterà difficile combinare dei valori di frugalità con l’ascesa continua dei salari. E’ in fatti la prima generazione che incassa i dividendi dei Trenta Gloriosi, anche se, con una cultura di precauzione e di risparmio, non entra che per la metà nella società dei consumi che si installa a partire dagli anni sessanta. Questa generazione non sarà influenzata molto dai beni durevoli: resta poco proprietaria del proprio alloggio, conserva un debole tasso di acquisto per quanto riguarda l’automobile e lascia poco spazio all’entrata di beni di elettronica di grande consumo nel suo domicilio. Con una spesa per capo si piazza in prima posizione nel 1979 e 1984, retrocede alla terza nel 1995, dietro le due generazioni che la seguono. Ma alla stessa età, gli riesce un risultato superiore del 30% in rapporto a quello della generazione degli Anni Folli.

Lavoro, Famiglia, Patria

E’ un secondo contrasto che ci offre la generazione crac. Non tra due fasi della sua storia ma tra due versanti della propria vita. In quasi tutta l’Europa il suo grande affare sarà stata la modernizzazione del paese, sempre mantenendo la propria cultura tradizionale. Come per la cultura giapponese le sono riusciti dei brillanti risultati toccando i temi “Lavoro, Famiglia, Patria” ed un etica puritana, paesana e risparmiatrice, tutti valori che saranno fatti fuori dai loro bambini al momento della sbornia del 68. Albert Camus, nato nel 1913, uno dei grandi di questa generazione, conobbe molto presto il tragico dell’epoca con la scomparsa di suo padre durante la Grande Guerra. In occasione del suo discorso in Svezia nel 1957, espresse bene l’ambizione di questa generazione europea: “Ogni generazione, senza dubbio, si crede votata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è più grande. Consiste nell’impedire che il mondo non si disfi.”. Con queste parole, il Premio Nobel ci permette di misurare la distanza che separa questa generazione ferita da quella dei suoi bimbi viziati, la generazione Maggio 68, che esalteranno il piacere.

La crescita materiale e l’efficienza mobilizzano l’essenziale delle energie e delle aspirazioni. Attraverso il benessere e la comodità moderna che esse apportano progressivamente al più gran numero, restaurano il sogno di potenza di nazioni ferite a morte dal 1940. La logica dell’onore mantiene l’idea che, attraverso l’economia, lo Stato potrà ritornare a dire la propria nel mondo: la costruzione europea compenserà la delusione provocata per la dissoluzione dei sogni imperiali. La pace lo condanna al declino, prendendo nella caduta tutto il mondo politico. E non è solo europea. Strauss ed Howe affermano che la generazione dei GI’s (veterani) ha sempre guardato allo Stato come al suo benefattore, che è diventato grande giusto con loro e li ha protetti contro i rischi come un angelo custode. Questa attitudine bene si combina con i tratti di una generazione marcata dal desiderio di realizzare grandi progetti collettivi, per il suo rispetto dell’autorità e per un certo conformismo (ha adottato l’uniforme del vestito grigio). Rispetto ai boomers che diranno “Me first” loro diranno sempre “We first”. Kennedy farà la morale alle giovani generazioni all’inizio degli anni sessanta: “Non domandate cosa il paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il Paese”.

Quando questa generazione sarà al potere, non farà della crescita economica un obiettivo solo per se stessa, ma un obiettivo di potenza nazionale: “L’economia, è la guerra continuata con altri mezzi.”. De Gaulle assicurerà una specie di transizione vantando il nazionalismo economico. Non verranno più reclamate delle divisioni blindate ma un aumento del PIL (questa è un’invenzione della generazione crac). Nei desideri della fine del 1965, lo stesso De Gaulle, non chiederà che gli vengano fatti un milione di bambini, ma legittimerà la sua azione dalle cifre della crescita del PIL: dal momento del suo ritorno al potere un aumento del 35%: “Con questo, la Francia, dovunque andrà, sarà nello spazio di una generazione due volte più ricca di quanto lo sia stata”.

Moderna al di fuori la generazione crac si rivela tradizionale di dentro. La famiglia resiste, e resiste bene. La famiglia è il valore di referenza nella sfera privata. E’ probabilmente l’ultima generazione a vivere sulla schema della famiglia tradizionale, modello napoleonico. La figura autoritaria del capo (coppia monoattiva con bambini): l’uomo lavora molto (è sovente assente, ma guadagna il pane da mangiare), la donna custodisce il focolare, gestisce le spese e si occupa dell’interno. I ruoli, quando è possibile, sono chiaramente distribuiti secondo i sessi. Il matrimonio resiste (poche le coppie libere e pochi i divorzi). E’ la generazione che ha la più debole percentuale di nubili a cinquant’anni e che batte il record della fecondità (2,6 bambini per donna: probabilmente un bambino in più della generazione Gorby). Delle madri “angeli custodi” costituiscono il pilastro della famiglia. Esse appartengono alla generazione più implicata nei doveri educativi ed al mantenimento della casa. Seguendo sempre più i consigli degli esperti in “allevamento di bambini” esse vogliono essere professionalmente “mio figlio, è la mia carriera”.

La famiglia costituisce il fondamento, la cellula dove l’individuo non può scappare. Si inscrive in un matrimonio indissolubile che solo la morte potrà rompere. La famiglia è una piccola società privata, chiusa o richiusa, dipende. La casa, la terra e può essere la proprietà sono al centro di tutte le preoccupazioni, e formano il solco economico della stabilità.

Leggo, riporto perché condivido.

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ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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