La sicurezza alimentare avrebbe iniziato un percorso virtuoso, a tappe forzate. Il gap si sarebbe avuto tra quanto descritto dall’offerta per attirare la domanda, dalla credulità e dalla buona fede della domanda stessa, dalla lentezza dell’hardware e software dell’offerta all’adeguamento delle specifiche “virtuali” insite nell’offerta e date per scontate dalla domanda.
Ma che vuol dire tutto ciò?
Vuole dire che è facile dettare delle regole, abitudinario lasciar credere sulle caratteristiche qualitative della propria offerta, fin troppo agevolare conquistare la fiducia dei consumatore in marchi, estremamente complicato e talvolta impossibile praticamente rispettare le specifiche per garantire i livelli qualitativi.
Ancora non è chiaro.
Quando si dice che un prodotto alimentare deve essere sicuro, il marchio dichiara da subito che il suo prodotto è sicuro, il consumatore ci crede, i controlli che si fanno o che si andranno a fare non daranno dei segnali negativi, il modo di comportarsi nei processi di produzione in senso lato no si discosteranno dalle abitudini storiche. E questo dura finchè fa verdura.
In mezzo si crea un oceano di possibilità: questo vale
· per la sicurezza nelle emissioni in luoghi dove si manipolano agenti chimici,
· per la rispondenza del dichiarato in etichetta, per le razioni quotidiane degli animali, che non ricevono una singola porzione,
· per la presenza volontaria di residui indesiderati,
· per la presenza involontaria di residui indesiderati, quali le tossine e/o prodotti di decomposizione.
I due ultimi punti ci portano alla detossicazione e decontaminazione come viene intesa dal nostro gruppo di lavoro.
La detossicazione riguarda l’organismo vivente.
La decontaminazione riguarda la derrata alimentare.
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