cultura – le persone passano ma il settore resta.
2024-12-23La cultura del settore è importante.
Pochi giorni fa ho avuto modo di ascoltare un attore importante della filiera zootecnica ed agroalimentare che sosteneva che era ormai tempo di passare da Made in Italy a Sistema Italia.
Al momento la cosa mi ha colpito. Io ero fermo alla definizione di Made in Italy e delle autocontraffazioni che ci facciamo, ma noi italiani storicamente siamo veramente bravi a farci male da soli, e questa angolazione di visuale un po’ mi spiazzava.
Sistema: insieme di entità connesse tra di loro tramite reciproche relazioni visibili e ben definite. Una delle definizioni che ho trovato.
Dieci anni fa producevamo diluizioni di coccidiostatici e di chinossalinici ed eravamo particolarmente bravi tecnicamente. Il mercato europeo era un grande consumatore di queste preparazioni ad azione terapeutica preventiva e esigeva uno standard qualitativo molto alto che ci vedeva ai primi posti tra i concorrenti. Eravamo ritenuti i primi della classe sia come tecnica di preparazione sia come flessibilità, accuratezza, affidabilità, economicità.
Le diluizioni di chinossalinici dovevano rispettare delle norme relative alle emissioni particolarmente severe (in pratica assenza totale), stante il pericolo per le risorse implicate nella manipolazione di queste sostanze e/o degli alimenti che le contengono. Ed era proprio sulla capacità di rispettare tali ristrette norme che faceva di noi i primi della classe. Uno dei paesi grandi consumatori era la cara Olanda avendo un’elevata consistenza di patrimonio suino ed una importante corrente di esportazione di alimenti per suini. I produttori di alimenti in Olanda non erano numerosi (9 rappresentavano il 95% del mercato) e quindi fu abbastanza agevole averli quali graditi clienti.
I clienti erano contenti della nostra qualità e delle nostre condizioni, ma, c’era un ma. L’organizzazione veterinaria operante nei punti doganali di entrata ( e qui comincio a capire il sistema) imponeva ai clienti l’ora, il giorno, il luogo per la verifica della spedizione, prima di liberarla per qualsiasi destinazione nel territorio olandese. E per verificarla eseguiva il campionamento per ciascun saccone da 1000 kg, e l’effettuazione del controllo analitico, che necessitava di 48 ore. In poche parole il trasportatore doveva trovarsi nel luogo indicato, che variava, nel giorno e nell’ora indicata. I sacconi venivano scaricati nel territorio doganale, veniva prelevato un campione rappresentativo per ogni saccone, la merce attendeva nei magazzini doganali l’esito delle analisi e solo dopo questa procedura il cliente poteva ricevere ed utilizzare il prodotto. Per ogni saccone? Per ogni saccone. Per ogni spedizione? Per ogni spedizione.
Il messaggio fu chiaro “O producete sul posto oppure il servizio veterinario continuerà imperterrito.”. Resistemmo tre mesi, con crisi di nervi settimanali, poi optammo per la soluzione locale con trasferimento di know-how. Ci venne spiegato che non era uno sgarbo procedurale nei nostri confronti ma una azione di difesa del sistema . La produzione e l’utilizzazione di prodotti già nel territorio metteva in maggiore sicurezza le produzioni destinate all’autoconsumo e/o all’esportazione con il marchio NL. Da qui la necessità di controllare ogni spedizione ed ogni confezione proveniente da fuori NL.
Ho sotto agli occhi le statistiche Istat relative alle importazioni ed esportazioni di quelli che chiamiamo insaccati. In valore esportiamo 2,2 miliardi di € contro un’importazione di 395 milioni di €. Più dell’80% delle esportazioni sono destinati a Paesi della UE27. Evviva.
In quantità importiamo 105.000 tonnellate e ne esportiamo 361.000 mila. Evviva, evviva.
Tra il 2007 ed il 2008 la corrente dell’esportazione è in aumento. Evviva, evviva, evviva.
Da qui la mia domanda relativa al Made in Italy: quanto della carne contenuta negli insaccati viene prodotta in Italia? Mauro mi dice e cerca di convincermi che questo NON è importante. L’insaccato è Made in Italy se la lavorazione ed il confezionamento sono eseguiti sul territorio italiano.
Mi riesce difficile solo ascoltarlo. Per me stiamo usando il tricolore sull’etichetta dell’insaccato come il classico vù cumprà si veste con foggia e colori africani per vendere prodotti griffati contraffatti.
Pensare di fare sistema mi sembra veramente troppo. Noi vecchi, che avremmo potuto farlo, come l’hanno fatto gli olandesi, i francesi, i tedeschi, i danesi e gli spagnoli in tempi recenti, ma non lo abbiamo fatto e per questo provo vergogna a quanto lasciamo in eredità alle forze del futuro.
Flavio Veneroni – Luglio 2009
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