Uguaglianza? Uguaglianza! – distopia

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Uguaglianza? Uguaglianza! (della Distopia);

Libera; traduzione e commento dalla trasposizione di un lavoro di Gorman Beauchamp.

Anche se è stato un valente giornalista, un critico ed un autore teatrale, il ricordo di Jerome K. Jerome (JKJ) è legato al racconto comico Tre uomini in barca ambientato nell’epoca edoardiana. Pochi sanno che un suo saggio ha dato origine ad un genere letterario, la distopia. “Dis: Prefisso che si trova, con significato peggiorativo, in molti termini […] derivati dal greco (dispnea, distrofia) o formati modernamente (disfunzione), nei quali indica alterazione, malformazione, difettoso funzionamento, anomalia.”. Qui usiamo il termine per distinguere quelle opere di fantasia nelle quali una intenzione utopica, si traduce in modo del tutto negativo per coloro che la vivono; altri termini simili sono anti-utopia o contro-utopia.

Il lavoro di JKJ sembra aver esercitato una influenza sulle opere distopiche successive, avendo anticipato motivi e situazioni del tutto nuove.

La Nuova Utopia, è una saggio-recita di una ventina di pagine. E’ apparso nel 1891 ed è una distopia ante litteram. Un testo finemente ironico che merita l’attenzione di coloro che amano la dialettica letteraria utopia-distopia.

Con molta probabilità JKJ è stato influenzato da Looking Backward: 2000 to 1887 dell’americano Edward Bellamy, apparso nel 1888; e, anche se in misura minore, da News from Nowhere dell’inglese William Morris, edito nel 1890.

Inizia al ”presente”, come le due opere precedenti, con un prologo che ci presenta il Narratore che si addormenta per 1000 anni, non essendo andata in funzione la sveglia. E si risveglia in un vero “migliore dei mondi”.

La lettura del prologo è importante poiché viene descritto, con discreta ironia, il programma socialista del perfezionamento del mondo contro il quale si sviluppa il satirico racconto di fantasia.

Ad una cena al Circolo Socialista, a base di fagiano e tartufo ed innaffiata da Chateau Lafitte 1849, il Narratore, indicato dal pronome “io”, ascolta alcuni soci che stanno spiegando cosa non va nel mondo ed in che modo si propongano di porvi rimedio:

“La parola d’ordine è l’uguaglianza dell’umanità intera, uguaglianza perfetta in ogni cosa: nelle proprietà, nelle situazioni, nelle influenze, nei doveri, arrivando all’uguaglianza nelle soddisfazioni. Il mondo apparterrà a tutti, senza alcuna eccezione, e dovrà essere suddiviso in maniera perfettamente uguale. Il lavoro di ogni uomo apparterrà, no, non a lui!, ma allo Stato, che penserà al suo nutrimento ed al suo guardaroba, ed il lavoro non si compirà a proprio vantaggio ma esclusivamente al fine dell’arricchimento della razza […] Le distinzioni sociali – barriere contro le quali l’Umanità si è invano scontrata – dovranno scomparire. La razza umana doveva continuare ad avanzare verso il suo destino (qualsiasi esso fosse) ma non disordinatamente, come l’orda odierna, dove ognuno pensa a sé […], ma come un’armata disciplinata che sfila unita sulla spianata dell’equità e dell’uguaglianza.”.

“ I seni generosi della Terra, la nostra Madre, debbono nutrire indifferentemente tutti i bambini; nessuno d’essi dovrà patire la fame, nessuno d’essi potrà e dovrà avere di più. Non prenderà una parte maggiore di quella di un debole, l’uomo vigoroso. Non dovrà, l’abile, cercare di impadronirsi di una parte maggiore a scapito di colui che non è molto furbo, […] Tutti gli uomini essendo uguali, a parte le leggi della Natura, dovevano ritrovarsi ed essere uguali attraverso le leggi umane.

La disuguaglianza si accompagna alla miseria, al crimine, al peccato, all’egoismo, all’arroganza, all’ipocrisia. In un mondo dove tutti gli uomini fossero uguali, non ci sarebbe stata la tentazione del male e si manifesterebbe, alfine, la nostra naturale nobiltà. Quando tutti gli uomini saranno uguali, il mondo sarà il Cielo, un mondo finalmente liberato dall’avvilente dispotismo di Dio.”. “Levammo i calici e brindammo alla salute dell’Uguaglianza, della Sacra Uguaglianza, e chiedemmo al cameriere di portarci della Chartreuse ed altri sigari.”.

Anche se non è il caso di ricercare delle fonti particolari per le idee che fanno parte della vulgata socialista, la terminologia impiegata, ad esempio la metafora militare, ricorda Looking Backward ed il suo seguito, per l’appunto intitolato Equality, edito nel 1897.

In seguito, quando il Narratore comincia ad avere sonno, ripensa alle conversazioni della cena e riprende il celebre slogan “dalla culla alla tomba” lanciato da Edward Bellamy:” Lo Stato ci prende in carico sin dalla prima ora della nostra nascita, sino a quando moriamo, e provvederebbe a tutti i nostri bisogni, dalla culla sino alla tomba, e noi non dovremo più preoccuparci di niente.”.

Bellamy scriveva inoltre “Nella vostra epoca si risparmiava per il futuro, per allevare i figli, e queste necessità facevano della parsimonia una virtù, cosa che è cessata oggi in cui [la parsimonia] non è ne necessaria ne lodevole. Nessuno si preoccupa del domani, ne per se stesso ne per la propria famiglia: la nazione si fa carico della nutrizione, dell’educazione e del mantenimento di ciascuno dei suoi membri, dalla culla alla tomba.”.

Poi il Narratore si addormenta.

Mille anni dopo

Si sveglia e si ritrova nel XXIX° secolo. In un museo dove è stato esposto al pubblico, in un contenitore di vetro, per un millennio ( “I visitatori sono pregati di non versare acqua o altri oggetti nei fori di ventilazione” precisa un cartello).

L’effetto Rip Van Winkle (personaggio del racconto dell’americano Washington Irving [1783 – 1859] che, dopo un lungo sonno si risveglia in un mondo profondamente cambiato) costituisce evidentemente una tecnica utilizzata per ritrovarsi in utopia, meno utilizzata del naufragio di un battello sulle rive utopiche, ma più utilizzata dell’arrivo in una città sotterranea dopo un accidentale caduta in un buco (procedimenti utilizzati rispettivamente da Thomas Moore – L’Utopia. 1516, e dal barone Holberg – Le vojage souterrain de Nicolas Klim, 1741).

Il particolare dettaglio del risveglio di un addormentato, così come descritto da JKJ, è stato riutilizzato dall’amico H.G.Wells, in modo più serio, nella sua distopia, apparsa nel 1899, When the Sleeper Wakes.

Il Narratore di Jerome è comunque sufficientemente familiarizzato con il genere utopico e, non lasciandosi minimamente turbare, cerca con lo sguardo l’inevitabile Cicerone, che subito appare per aiutarlo ad uscire dalla gabbia di vetro. Anche il Cicerone deve aver letto come accadano le cose in utopia. “Se comprendo bene, mi dice l’anziano signore, lei desidera la cosa abituale….Vorrebbe che io l’accompagnassi in una passeggiata in città e che le spieghi i cambiamenti sopravvenuti mentre lei mi farà delle domande e formulerà delle sciocche osservazioni?”.

“Si, risposi, suppongo che questo sia ciò che dovremmo fare.”.

“E’ proprio ciò che pensavo, mormorò. Venga e sbrighiamocela.”.

Questa piacevole parodia dello stile narrativo utopico prepara il lettore al trattamento irriverente che il significato utopico andrà a subire nel racconto dell’Autore.

La visita accompagnata nell’era nuova, infatti, è rigorosamente conforme alla formula narrativa dell’utopia, iniziando dall’annuncio che fa la guida. “Siamo riusciti a rendere questa terra quasi perfetta, e per quanto riguarda l’uguaglianza, le piccole cose non ci toccano neanche di striscio.”. I due effettuano insieme l’abituale traversata nella classica città utopica.

“Tutto era molto pulito e calmo. Le strade…si intersecavano ad angoli retti e presentavano tutte lo stesso aspetto… Tutta la circolazione era assicurata da veicoli elettrici. Tutti coloro che incontrammo avevano un’aria calma e seria, e si rassomigliavano a tal punto d’avere l’impressione che fossero membri della stessa famiglia. Tutti erano vestiti, come la mia guida, con pantaloni grigi ed una tunica grigia.”.

Al di là del tocco futurista dei veicoli elettrici, la scena potrebbe essere ambientata a Amaurote, la capitale degli utopici di Thomas Moore, oppure a Christianapolis, la capitale della repubblica ideale immaginata nel 1619 dal pastore protestante tedesco Johann Valentin Andreae, con i paesaggi urbani geometrici ed uniformi che fanno parte integrante dell’immaginario utopico. Il nostro Autore si lancia in un crescendo comico per l’uniformità, una reductio ad absurdum della frenesia ugualitaria degli utopisti. Quando il Narratore osserva che tutte le persone hanno l’aria di gemelli, il Cicerone spiega che adesso la legge esige che le persone si rassomiglino il più possibile. Ad esempio, per quanto riguarda i capelli, il colore regolamentare è il nero.

“Se i capelli di un uomo non sono naturalmente neri, se li deve far tingere di nero…Cosa ne sarebbe dell’uguaglianza se si lasciasse qualcuno, uomo o donna, pavoneggiarsi con dei capelli di un bel colore biondo mentre un altro dovrebbe accontentarsi del proprio color carota?”. I regolamenti relativi all’apparenza fisica, aggiunge, hanno il fine di rimediare agli errori della natura.

Tutte le utopie presuppongono un conflitto tra il modello utopico ed il mondo della natura; come il Grande Inquisitore di Dostoievski, ne I Fratelli Karamazov (1880), i teorici dell’utopia pretendono di correggere il cattivo lavoro fatto da Dio e porre rimedio agli errori della natura.

Vi è, in particolare, una distopia che specificatamente accentua il tema dell’alterazione dell’apparenza fisica con l’obiettivo di rettificare la natura: è Facial Justice dell’americano L.P. Hurtley (1960). Nel mondo dopo la terza Guerra Mondiale, narra il romanzo, chi è più bello o più brutto della norma è costretto a subire un trapianto facciale nel Centro di Uguaglianza, dove potrà scegliere fra tre Beta-modelli conformi alla Divina Norma Mediana. Il processo si chiama Betaficazione dato che i Beta costituiscono la maggioranza della popolazione e sono, di fatto, la norma. L’eroina del romanzo, Jael 97, più avanti faremo alcune considerazioni sui nomi, è considerata troppo graziosa per una cultura che persegue l’Uguaglianza – la buona U – e disprezza l’Invidia – la cattiva I; in effetti, come viene spiegato a Jael 97, lei ha un viso che “potrebbe essere un terreno ideale per suscitare l’invidia. Voi non avete alcun diritto di possedere qualsiasi cosa che possa far nascere l’invidia nel cuore di un co-delinquente.”.

“Delinquente” è il termine ufficiale per designare ogni cittadino di questa società, mentre “Paziente” è il termine popolare. Le due definizioni servono a ricordare alla popolazione la propria natura patologica-criminale che esige una continuità nei trattamenti, nel controllo e nell’osservazione. Lo slogan, frequentemente ripetuto nella Società, precisa che la natura è crudele perché crea gli uomini ineguali, e la giustizia facciale, che è il titolo dell’opera, costituisce il tentativo socio-chirurgico per riparare i vizi della natura. Come JKJ, Hurtley spinge la logica dell’uguaglianza sino all’assurdo, applicandola non solamente allo stato ed ai beni delle persone, ma anche al loro aspetto fisico. Perché adoperarsi per l’uniformità dei vestiti, delle abitazioni e delle strade, munite di accessori interscambiabili, con il rischio di ritrovarsi poi come la natura li ha fatti: certi belli ed altri senza alcuna attrattiva? Hurtley sottolinea ironicamente che il Centro d’Uguaglianza e la Betaficazione sono tutti e due necessari proprio per una società che pone la “giustizia” ugualitaria al posto della lotteria capricciosa dei lineamenti del viso gestita dalla natura.

Correggere le disuguaglianze

Per estrema che sia la soluzione utilizzata da Hurtley in Facial Justice, JKJ prevede in The New Utopia una pratica ancor più estrema per applicare l’uguaglianza, o meglio per correggere le disuguaglianze. Proseguendo la sua passeggiata, il Narratore incontra alcune persone più alte della media e monche, senza uno degli arti. Interrogato su questa stranezza, il Cicerone risponde: “Quando un uomo ha una taglia oppure un vigore molto al di sopra della media, gli viene tagliato un braccio oppure una gamba. Per rendere le cose più uguali gli amputiamo, possiamo dire, una parte di lui stesso. La natura, vedete, è alle volte retrograda, ma noi facciamo ciò che possiamo per correggerla….”

“E se qualcuno è eccezionalmente intelligente, che fate?”

“Eh, bene. Attualmente da noi non ci sono più molti problemi sotto questo punto di vista, rispose, E’ da molto tempo che non ci siamo imbattuti in cattivi incontri in materia di capacità cerebrali. Qualora vi fosse il caso, interverremmo chirurgicamente sulla testa, per rimbambire il cervello, per portarlo ad un livello medio.”.

L’operazione destinata a rimbambire il cervello evoca immediatamente la “grande operazione” che viene descritta in We (1924), romanzo del russo Zamiatine, anche se ha come scopo l’eradicazione dell’immaginazione e non l’indebolimento dell’intelligenza. Lo scrittore, che ha rilanciato efficacemente il suggerimento di Jerome, è probabilmente Kurt Vannegut nel suo racconto Harrison Bergeron (1971), che inizia con questo deliziosamente satirico paragrafo:

“Eravamo nel 2081 e tutto il mondo era finalmente uguale. Non si era solamente uguali davanti a Dio e davanti alla legge. Si era uguali sotto ogni aspetto. Nessuno era più scaltro degli altri. Nessuno aveva una migliore apparenza degli altri. Nessuno era più svelto o più forte degli altri. L’intero aspetto dell’uguaglianza era regolato dal 211°, 212° e 213° emendamento della Costituzione ed alla vigilanza incessante degli agenti dell’Handicappatore Generale (HG) degli Stati Uniti.”.

Il metodo utilizzato nei confronti di una intelligenza superiore alla media è dimostrato nel caso di George Bergeron, il padre dell’eroe della storia, che “aveva un handicap radiofonico mentale nel suo orecchio. La legge lo obbligava a portarlo in permanenza. L’apparecchio era connesso ad una emittente dell’amministrazione. Tutti i venti secondi, l’emittente inviava un sibilo acuto per impedire a gente come George di avere dei vantaggi grazie al loro cervello.”. Quanto agli individui fisicamente vigorosi, dovevano indossare dei pesi che li rallentavano, così come coloro che erano belli dovevano nascondersi dietro delle maschere grottesche. Il giovane Harrison Bergeron è un gigante alto 2 metri e 10, “un genio ed un atleta”, che sopporta l’handicap più gravoso mai concepito: “Invece di avere una piccola radio auricolare come handicap mentale, deve portare un incredibile paio di cuffie e di occhiali con spesse lenti deformanti. Gli occhiali lo rendevano non solamente quasi cieco, ma gli infliggevano delle atroci nevralgie. Pesanti pezzi di metallo appesantivano il suo corpo intralciandolo nei movimenti. Nel corso della sua vita, Harrison arrivò a portare su se stesso 120 chili. Infine, per compensare le sue fattezze, gli uomini dell’HG lo costrinsero a portare un finto naso di gomma di colore rosso, a rasarsi le sopracciglia ed a coprire i suoi denti bianchi con degli spezzoni nerastri.”.

Esasperato da questi barbari ostacoli, Harrison si rivolta e si impadronisce dell’emittente televisiva nazionale. Si proclama imperatore del mondo ed inizia una danza nuziale con una bella ballerina a cui ha strappato maschera e pesi. La danza termina, letteralmente, con uno schiocco quando i due vengono abbattuti, con una carabina di grosso calibro, da Diana Moon Glompers, l’Handicappatore Generale in persona. Tutto ritorna nella normalità e la vita distopica continua. Kurt Vannegut non si accontenta di utilizzare il tema dell’handicap, inaugurato dalla radiosa fantasia di Jerome, ma ricrea la stessa oltraggiosa buffoneria nella demitificazione della quiete utopica e di una uguaglianza totale.

Proseguendo la visita guidata, il Narratore nota che i cittadini della nuova utopia portano, sulle loro grigie tuniche, delle placche di metallo con delle cifre. Queste cifre, gli viene detto, hanno rimpiazzato i nomi perché “vi era una grande disuguaglianza nei nomi”. Alle femmine viene dato un numero pari, ai maschi dispari, per distinguere i sessi con facilità. Suppongo che qui vi sia la fonte della nomenclatura numeraria di We, dato che Zamiatine ha sicuramente letto JKJ: i cittadini che vivono nell’utopia, dai muri di vetro, chiamata “Stato Unico”, non hanno solamente dei numeri al posto dei nomi, ma collettivamente vengono chiamati “I Numeri”.

Dopo questo romanzo di Zamiatine, diventa un classico dare dei numeri anziché dei nomi propri nelle utopie. Anche Hurtley utilizza i numeri per designare i personaggi, ma con una interessante deformazione. Il maestro invisibile della Società, il Direttore BeneAmato, “obbliga ogni membro di questa società a portare il nome di un assassino o assassina”, affincé ciascuno si ricordi del proprio stato criminale. “Il dipartimento della Nomenclatura criminale disponeva di un nutrito numero di nome nei suoi registri […], ma non in quantità sufficiente per sopperire alla necessità e per superare la penuria, ogni nome era seguito da un numero.”. Spinto quindi per le medesime ragioni che portano Jerome ad utilizzare i numeri al posto dei nomi, Hurtley spiega che “le Autorità incoraggiavano le persone a chiamarsi per il loro numero piuttosto che con il nome, perché ciò favoriva la depersonalizzazione”. Chiunque abbia trascorso un certo periodo in caserma, prigione o all’Università, sentirà un sentimento di familiarità, ma anche su questo punto Jerome è stato il primo a cogliere lo specifico aspetto come tratto satirico dell’utopia.

Quando Jerome porta il Narratore ad esaminare le condizioni di vita nella nuova era, il livello satirico si indebolisce. I precedenti utopisti, Utopia di Thomas Moore, La Città del Sole di Campanella (1623), Viaggio in Icaria di Etienne Cabet[1] (1842), hanno descritto rigidi sistemi di uguaglianza in chiave seria. Nella Nuova Utopia gli appartamenti privati sono scomparsi e sono rimpiazzati con dei blocchi di immobili contenenti ciascuno 1000 cittadini suddivisi in camerate da 100. L’impiego del tempo si applica doverosamente a tutti:

“Alle sette, ogni mattino, suona la campana; tutti si alzano e rifanno il proprio letto. […] Alle otto viene servita nel refettorio la colazione. […] Alle 13 risuona la campana per il pranzo. […] Alle 17 è l’ora del tè; la sera, alle 22, un’altra campana avvisa che tutti debbono andare a dormire. Noi siamo tutti uguali e viviamo nella stessa maniera – impiegato e spazzino, stagnino e farmacista – tutti insieme nella fratellanza e nella libertà.”. Considerare una routine così rigida come libertà esige un abile sfoggio del doppio pensiero distopico, ma almeno è una routine che rischia di piacere prima di tutto ai nottambuli rispetto agli orari in vigore presso gli Utopici di Thomas Moore, dove tutti dovevano essere a letto alle 8 di sera per rialzarsi alle 5 del mattino! La satira della vita della utopica caserma che JKJ cerca qui di realizzare – una vita regolata dalla campana e dall’orologio – è meglio descritta in Zamiatine, che immagina l’intera società funzionante secondo i principi della “gestione scientifica” di Frederick Taylor, con la sua minuziosa sincronizzazione di ogni azione, in ogni momento e per ogni giornata. Il Narratore D 503 così descrive l’organizzazione della vita nello Stato Unico:

“Ogni mattina, con la precisione di una macchina, alla stessa ora ed allo stesso minuto, noi, dei milioni, ci alziamo come un unico numero. Alla stessa ora, dei milioni alla volta, iniziamo e finiamo il nostro lavoro, insieme. Fusi in un solo corpo con milioni di mani, noi portiamo il cucchiaio alla bocca nel momento preciso stabilito dalle Tavole, tutti, nello stesso istante, andiamo a passeggiare, ce ne andiamo all’auditorium, alla sala degli esercizi di Taylor, ci addormentiamo…”. Descrivendo minuziosamente questa cronometrica esistenza lungo tutto il suo libro, Zamiatine riesce nella realizzazione di una reductio ad absurdum della volontà di uniformare, rapidamente schizzata da Jerome e finisce per fornire una antitesi perfetta della anarchica abbazia di Theleme de Rabelais (Gargantua, cap. LVII – (1534)), dove gli orologi erano proibiti, dove ognuno si alzava quando voleva e dove la regola era “Fa ciò che ti pare”.

Quando il Narratore di Jerome esprime il proprio stupore davanti a come una vita così rigida, in camerata, possa convenire a delle coppie sposate, si sente rispondere: “Oh, non ci sono più coppie sposate; già da duecento anni abbiamo abolito il matrimonio.”. L’informazione non dovrebbe sorprendere più di tanto, in quanto il matrimonio ed il nucleo familiare hanno sempre posto un problema agli utopisti, da Platone, che fu il primo a proporre di sopprimere completamente la famiglia (almeno per la classe dei Guardiani della sua Repubblica), sino allo psicologo behaviorista Burrhus Frederic Skinner che ha dichiarato che la famiglia non è un posto per allevare un bambino (Walden Two – 1962).

In Malaise dans la Civilisation, Freud sostiene che vi è un paradosso nel fatto che se la famiglia rappresenta il primo stadio dell’evoluzione verso la società organizzata, in una fase più avanzata dello sviluppo sociale, risulta essere una regressione; postula l’esistenza di un “conflitto” tra la famiglia e la comunità più vasta alla quale l’individuo appartiene. “Noi abbiamo già constatato che uno dei principali sforzi della civilizzazione tendeva ad agglomerare gli umani in grandi unità. Ma la famiglia fa resistenza a lasciare l’individuo. Sarà dunque più difficile entrare nel grande cerchio della vita sociale per quei membri che avranno dei legami che li uniscono tra loro.”. Freud aveva già notato anteriormente che nelle organizzazioni quale le Forze Armate e la Chiesa Cattolica, l’amore romantico ed i legami familiari sono malvisti: ”I rapporti amorosi tra uomini e donne restano esclusi in queste organizzazioni. […] Le tendenze sessuali dirette sono inerenti ad un certo carattere di individualità, anche nell’individuo assorbito dalla massa. Quando questa individualità supera un certo limite, la formazione collettiva viene minacciata di disintegrazione.”. Per cui, la Chiesa Cattolica, allorché reclama la lealtà senza discussione dal suo clero, ha delle buoni ragioni per imporre il celibato e di negare ai propri chierici ogni legame familiare: l’amore può rivelarsi più forte di ogni legame con i quali è in competizione, ed è un ostacolo alla totale integrazione dell’individuo nel gruppo (Psicologia collettiva ed analisi dell’Io – 1921).

Per gli utopisti, agli occhi dei quali tale integrazione è la condizione sine qua non dei loro modelli sociali, questi ostacoli debbono essere assolutamente eliminati. L’abolizione della famiglia, come in Platone, è la maniera più semplice, anche se in altre utopie sono state avanzate delle più sottili soluzioni.

Famiglia, quanto ti odio!

Jerome, che evidentemente non ha tratto beneficio dalla teorica analisi di Freud, non è neanche sufficientemente cosciente dell’antipatia degli utopisti nei confronti della vita familiare, per parodiare con convinzione il loro argomentare. Il suo Cicerone spiega:

“ Vedete, la vita coniugale non andava bene per niente per il nostro sistema. Ci siamo accorti che la vita domestica produceva una tendenza profondamente antisocialista. Gli uomini pensavano maggiormente alle loro donne ed alla loro famiglia che non allo Stato. Aspiravano ad operare per il bene della piccola cerchia di coloro che amavano piuttosto che per il bene della comunità. Si preoccupavano maggiormente dell’avvenire dei loro figli che del Destino dell’Umanità. I legami dell’amore e del sangue stringevano strettamente gli uomini in piccoli gruppi invece di farne un grande tutto. […] Piuttosto che indirizzare i loro sforzi alla felicità del più grande numero, preferivano rivolgerli per i pochi che erano loro vicini o cari.”.

Ecco che enuncia l’argomentazione freudiana meglio dello stesso Freud, ma Jerome prosegue sottolineando l’incompatibilità essenziale che esiste tra gli affetti e la lealtà privati ed il principio di uguaglianza che questi distrugge.

“ L’amore destava nel cuore degli uomini il vizio dell’ambizione. Per conquistare il sorriso delle donne che amavano e lasciare dietro loro un nome che i loro figli avrebbero fieramente portato, gli uomini cercavano di sopraelevarsi rispetto alla media generale, a compiere qualche azione che avrebbe indotto il mondo a venerarli ed onorarli sopra i loro compatrioti. […] I principi fondamentali del Socialismo venivano quotidianamente calpestati e disprezzati. Ogni casa era un centro rivoluzionario per la propagazione dell’individualismo e della differenziazione.

Le dottrine dell’uguaglianza venivano apertamente contestate. Quando amavano una donna, gli uomini la giudicavano superiore a tutte le altre donne e non si preoccupavano minimamente di nascondere queste loro assurde opinioni. Le spose innamorate giudicavano che il loro marito fosse più sagace, più coraggioso e migliore di tutti gli altri uomini. Le madri trovavano ridicola l’idea che i loro figli non fossero ritenuti assolutamente superiori agli altri bambini. I bambini erano impregnati dell’eresia rivoltante secondo la quale il loro padre e la loro madre fossero il miglior padre e la migliore madre del mondo. Da qualsiasi angolazione, la Famiglia ce la ritrovavamo davanti come il nostro nemico.”.

Il Narratore si chiede “come è possibile mantenere una buona natalità (l’offerta di bambini) in uno stato che proibisce il matrimonio?”. La risposta ci rimanda al puro platonismo. ”Oh, è relativamente semplice. Ai vostri tempi, come facevate a mantenere l’offerta di cavalli e di vacche? In primavera, viene programmato un preciso numero di bambini, conformemente ai bisogni dello Stato, e viene effettuato il concepimento scrupolosamente sotto controllo medico. Una volta nati, vengono separati dalla madre, altrimenti finirebbe per amarli, e vengono allevati in asili e scuole pubblici.”.

La maggior parte dei distopisti concordano in certa misura sul tema antifamiliare. In We, Zamiatine, nota che “dopo aver vinto la fame […] lo Stato Unico condusse una campagna contro l’altro sovrano del mondo, contro l’amore.”. La famiglia viene abolita; la procreazione viene limitata a coloro che rispondono ai requisiti riproduttivi, ed i bambini vengono allevati dallo Stato; i rapporti sessuali sono autorizzati due ore per settimana tra i Numeri che sono stati giudicati compatibili dall’apposito Ufficio Sessuale e ricevono, per questa occasione, dei buoni rosa; i legami permanenti sono per contro discreditati. Anche in 1984 di Orwell (1949), il Partito è attento nell’impedire che “gli uomini e le donne si consacrino ad una fedeltà che potrebbe risultare difficile da controllare […] L’erotismo era il nemico, sia dentro che fuori del matrimonio.”. Il matrimonio è autorizzato, ma il permesso viene sistematicamente rifiutato “quando i membri della copia in questione danno l’impressione di essere attratti fisicamente l’uno verso l’altro. Il solo fine del matrimonio, una volta che fosse ammesso, era di far nascere dei bambini per il servizio del Partito.”. In effetti il Partito, come la Chiesa medioevale, incoraggia i veri fedeli all’astinenza totale, attraverso la Lega Antisesso dei Giovani: l’eroe tutto di un pezzo, celibe, il compagno Ogilvy, riceve gli elogi del Grande Fratello perché reputa che “il matrimonio e la cura di una famiglia [sono] incompatibili con la dedizione, ventiquattro ore al giorno, al dovere.”. Per male che vadano le cose, in 1984, esse peggioreranno secondo lo scenario descritto dal porta parola del romanzo, O’Brien : “In futuro, non ci sarà ne donna ne amico. I bambini saranno tolti alle madri alla nascita come si tolgono le uova alle chiocce. L’istinto sessuale sarà estirpato. La procreazione sarà una formalità annuale, come il rinnovo della carta alimentare. Noi aboliremo l’orgasmo. I nostri neurologi ci stanno attualmente lavorando. Non ci sarà alcuna lealtà al di fuori di quella per il Partito. Non ci sarà più l’amore al di fuori dell’amore per il Grande Fratello.”.

Orwell, in 1984, trasforma la satira piena di ironia di Jerome, in un attacco feroce degno di Swift, ma è Aldous Huxley che si spingerà oltre, nel trattamento del tema contro la famiglia ne Il Migliore dei Mondi (1932), un’antiutopia dove la parentela biologica è rimpiazzata dalla produzione in serie di bambini fabbricati su misura. L’insieme dell’opera appare come uno sviluppo della scoppiettante parodia di Jerome, quando Mustapha Menier vi annuncia le ragioni che portano la società al ripudio della famiglia, è così simile al Cicerone di Jerome, che si può supporre ben più di una coincidenza. Esiste ad ogni modo un netto parallelismo tra le due osservazioni.

Ecco quel che afferma il Cicerone di Jerome:

“Là dove esisteva la famiglia, c’erano sempre sullo sfondo gli angeli della Gioia e del Dolore che si affrontavano […] Un uomo ed una donna durante la notte, in piedi, piangenti accanto alla piccola culla. Dall’altra parte della parete, una bella e giovane coppia, mano nella mano, ridono davanti alla mimica scherzosa di un bebè che, con l’aria seria, sta balbettando […] Non si poteva assolutamente tollerarlo. Noi abbiamo visto che l’Amore non cessava di essere il nostro nemico. Rendeva impossibile l’uguaglianza. Portava con sé la gioia e la pena, la pace e la sofferenza. L’abbiamo quindi abolito, lui e le sue opere. Adesso non ci sono più matrimoni, e quindi non vi sono più problemi domestici; niente più dichiarazioni d’amore, quindi più nessun cuore trafitto; niente più amore e dunque niente più pene; niente più baci e niente lacrime., Noi viviamo tutti insieme nell’uguaglianza, liberati dalla seccatura della gioia e del dolore.”.

Scorriamo ora degli estratti della conferenza di Mustapha Menier agli studenti, davanti al Centro di Incubazione e di Condizionamento di Londra-Centro:

“Quali soffocanti intimità, quali pericolose relazioni, senza senso, oscene, tra i membri del gruppo familiare! Come una pazza ossessa, la madre covava i suoi bambini, i suoi bambini!, … lei li covava. La famiglia, la monogamia, il romanticismo. Dappertutto il sentimento dell’esclusivo. […] Amore mio, figlio mio. Non deve quindi meravigliare che questi pre-moderni fossero matti, cattivi e miserabili. Il loro mondo non permetteva loro di prendere le cose con leggerezza. Con le loro madri ed i loro amanti […], erano obbligati a sentire profondamente ogni cosa. E sentendole così fortemente […] come avrebbero potuto mantenersi stabili? Siate felici, giovani! Niente è stato trascurato per rendere la vostra vita emotiva facile, per evitarvi […] di sentire le minime emozioni.

Il discorso distopico ci descrive abitualmente che lo Stato, che intenda garantire ad ognuno una invidiabile felicità, non può ottenerlo che eliminando le fonti delle più forti emozioni: amore, casa, famiglia. Ancora una volta La Nuova Utopia si conferma quale prototipo di tale eliminazione, che i distopici seguenti raffineranno con una sempre più sofisticata tecnologia.

Guai alle lettere!

Vi è un motivo finale introdotto da Jerome, che si ritrova nelle immaginazioni distopiche. La morte dell’arte. “Siete autorizzati a leggere dei libri?” chiede il Narratore, a cui viene risposto: “ Eh, bene… non si scrive più. Rendetevi conto, conduciamo delle vite talmente perfette, che non vi è più alcun male nel mondo, o dolore, o gioia, o speranza, o amore, o pena e che tutto è così regolare, come è necessario, quindi non vi è in realtà più niente su cui scrivere, fatta, evidentemente, eccezione per il Destino dell’Umanità.”. Per quanto riguarda le opere classiche – Shakespeare, Walter Scott, Thackeray – sono state bruciate perché “erano tutte piene di vecchie ed errate nozioni dei tempi antichi, di epoche della falsità e dei vizi d’allora” prima che gli uomini fossero uguali. Anche i quadri e le sculture sono state distrutte e non è stata prodotta alcuna nuova opera, a meno che essa non vada nel senso dei principi di uguaglianza. Jerome introduce un tema che può essere letto in doppio. Che l’utopia distruggerà l’arte ereditata dal passato e non creerà alcuna opera per rimpiazzarla. Gli utopisti, in verità, volentieri proclamano che il migliore dei mondi darà vita al meglio delle arti, con cui il passato non potrà rivaleggiare. Ma, come Jerome nota, le condizioni che si immagina debbano prevalere – perfetta armonia, calma soddisfazione, eliminazione del vizio, del crimine, dell’insuccesso e della violenza – non sembrano, ahimè, favorevoli alla creazione di una grande letteratura: impossibile la tragedia, poco probabile la commedia. La celebrazione della loro propria perfezione sembra quasi esaurire le capacità creatrici dei nuovi e futuri abitanti di Utopia. D’altra parte, Dickens in Looking Backward di Bellamy, e Thackeray in News from Nowhere di Morris, vengono nominati come scrittori obsoleti dall’avvento del Millennio Socialista. Jerome se la ride di questa attitudine nei confronti dell’arte, che è iniziata con la Repubblica di Platone, dove i poeti non hanno il diritto di soggiorno, introducendo un tema centrale delle distopie: la distruzione con il fuoco dei libri.

Quasi tutte le distopie segnalano la volgarizzazione che subisce l’arte, ed in particolare la letteratura, nei mondi futuri. In When the Sleeper Wakes di Wells, l’Amministratore Sanitario brucia i libri e con la cenere fabbrica della lisciva per lavare le macchie, e le onnipresenti Macchine Parlanti hanno fatto della lettura una attività passata di moda. In We, tutte le poesie sono dedicate all’elogio delle scienze matematiche, questi eterni amanti che sono due volte due, scrive Zamiatine, ed il capolavoro tragico dello Stato Unico riguarda un uomo che arriva tardi al lavoro (“…l’immortale tragedia intitolata L’uomo in ritardo al suo lavoro.”).

Nel Migliore dei Mondi, i film pornografici nei cinema odorosi sono preferiti ufficialmente a Shakespeare ed il principale scrittore dello Stato, Helmholtz Watson, consacra la vita alla composizione di slogans propagandistici. In Le pianiste dechainé (1972) di Kurt Vonnegut, i libri non possono essere pubblicati se non dai club “del libro del mese” – come, per esempio, il Club HDM (Histoires droles du mois) – e debbono essere redatti in conformità ed uniformità delle specifiche di marketing e con un vocabolario semplificato.

Ma la distopia in cui il duplice tema di Jerome (l’eliminazione dell’arte buona e la produzione dell’arte cattiva) occupa il posto principale è Fahrenheit 451 (1953) di Ray Bradbury, in cui il titolo allude, in maniera significativa, alla temperatura alla quale la carta prende fuoco (233°C). Nel futuro descritto da Bradbury, i pompieri esistono non per spegnere ma per accendere fuochi, fiamme alimentate da libri proibiti, da tutto ciò che ha a che fare con la letteratura. Noi, spiega il loro capitano, “noi facciamo fronte contro la marea di tutti coloro che vogliono spingere il mondo nella desolazione con delle teorie e dei pensieri contradditori […] Se non vuoi un uomo infelice per motivi politici, non presentargli mai i due aspetti di un problema, o lo tormenterai: dagliene uno solo, meglio ancora, non proporgliene alcuno.”, e qui va anche oltre Platone. Per questo scopo Amleto è condensato in una pagina, “Ora finalmente potete leggere tutti i classici. Non siete inferiori al vostro collega d’ufficio […] Dalla nursery all’Università e da questa di nuovo alla nursery.”. E tutte le abitazioni hanno dei muri schermo di televisione che trasmette una interminabile soap opera, La Famiglia, apologia del conformismo, del consumo e dell’uguaglianza. Nella parte sommersa del paese, piccole bande di bibliofili fuorilegge vivono nella clandestinità tramandando a memoria i testi proibiti. Nella distopia di Bradbury, dove l’eliminazione per mezzo del fuoco dei libri ha definitivamente trionfato, la tradizione medioevale della trasmissione orale è tutto ciò che può far sopravvivere la letteratura, la storia e la filosofia.

La Nuova Utopia di Jerome è profondamente profetica per quanto riguarda i maggiori temi trattati nei romanzi distopici:; sia che questo testo abbia effettivamente o no esercitato una influenza sugli scrittori posteriori, la prescienza di cui ha fatto prova nell’anticipazione di ciò che andrà a trattare questo genere letterario, giustifica da sola che questo racconto, come minimo, abbia una nota a piè di pagina nella storia dei romanzi antiutopia. Due differenze tra il lavoro di Jerome e le opere che lo seguiranno meritano una riflessione.

Nella sua struttura narrativa, il lavoro fa la parodia ma segue la formula della visita guidata, stereotipo delle opere utopiche. Le distopie, all’opposto, presentano abitualmente il migliore dei mondi come acquisito, facendo vedere gli orrori in maniera obliqua, indiretta; le trasformazioni intervenute appaiono in funzione della lotta loro portata dai protagonisti. Dato che La Nuova Utopia non è veramente una storia, nel senso letterario, questa non postula alcun conflitto tra dissidenti ed i rigori soffocanti dello Stato ugualitario: anche il suicidio parrebbe impossibile. “I volti degli uomini e delle donne che passavano, commenta il Narratore, avevano una espressione paziente, quasi patetica […] Dove avevo visto prima questa espressione? […] Improvvisamente me lo sono ricordato. Era molto semplicemente l’espressione calma, perplessa dei cavalli e dei manzi che noi abitualmente allevavamo nel vecchio mondo. No, queste persone non avevano l’idea del suicidio.”. Sono simili agli Eloiti della Macchina per esplorare il tempo di Wells (1895), devirilizzati, al punto di non osare di protestare. Jerome ci lascia intravedere che contro l’utopia non potrà esserci alcuna ribellione.

La seconda differenza è che, a parte questa pessimistica considerazione, la conclusione del racconto non ha niente di sinistro, a differenza dei romanzi distopici tradizionali. Si tratta piuttosto di un jeu d’esprit spirituale, scherzoso, cosciente delle sue oltraggiose esagerazioni, e che tende più a divertire che ad allertare. Se si ripensa alla convinzione espressa da Berdiaeff in un passaggio divenuto celebre come epigrafe del Migliore dei Mondi – le utopie sono realizzabili e la vita va verso le utopie (futuri possibili e realizzati nel XX° secolo) – può darsi che questa convinzione debba essere validata prima dell’assicurazione, molto edoardiana, di Jerome, che gli faceva credere che le utopie non fossero altro che fantasie per ridere.

Il Narratore di Jerome si sveglia dal suo sogno per sentire “i rumori ed il tumulto dell’antica battaglia della vita. Gli uomini si battono, si accaniscono, si attivano, si ritagliano una via con la clava della forza e della volontà. Gli uomini ridono, soffrono, amano, commettono il male, fanno delle grandi cose, cadono, lottano, si aiutano, vivono!”. Ma per D-503, John il Selvaggio, Winston Smith, Paul Proteus, protagonisti dei romanzi di Zamiatine, Huxley, Orwell e Vonnegut, ed i loro fratelli, la distopia non è un sogno che finisce bene; per loro non c’è un vecchio mondo nel quale risvegliarsi, sono condannati in un futuro da incubo.


[1] Etienne Cabet (1788-1856) intraprese la carriera giudiziaria, poi parlamentare. Nel 1842 pubblica Viaggio in Icaria, descrizione di un paese immaginario dove è abolita la proprietà privata e regna l’uguaglianza e dove non ci sono più né crimini, né guerre e di conseguenza non c’è più bisogno né di polizia né di un esercito. Tentò di realizzare le sue idee fondando comunità negli Stati Uniti, dove improvvisamente morì.

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ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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