Il lato oscuro II

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Il lato oscuro II  – L’industria alimentare

 

Nello schema del Reg. 178 l’industria alimentare finale, quella che pone in commercio il prodotto acquistato dal consumatore, viene indicata quale terminale che deve “assicurare”,  e ne ha la responsabilità anche economica, il rispetto della “sicurezza alimentare” di tutto il  processo della filiera di produzione: dal campo alla forchetta.

Da un esame veloce e superficiale è facile individuare la figura dell’industria alimentare: il marchio, oppure la ragione sociale, che contraddistingue il prodotto.

Risulta altresì facile “vedere”  il consumatore: colui che in cambio di un sacchetto che contiene il prodotto alimentare, paga e riceve uno scontrino.

La maggior parte delle volte che chiedo ad un interlocutore di descrivermi la scena che immagina mi viene indicato: la fila al supermercato oppure alla cassa del negozio.

La “sicurezza alimentare”, secondo me, per essere ottenuta obbliga ad una visione più profonda. Numerose sono le tipologie di “industria alimentare” e di “consumatore”.

La riflessione del tutto personale riguarda in particolare i prodotti alimentari di origine animale “carne, uova, latte” relativamente a ciò che si svolge in Italia.

La considerazione tiene conto che per il consumatore il concetto di chilometro zero (km 0) sia positivo per tutte le derrate, anche vegetali, ed in particolar modo, per quelle derivate da animali, per le uova e il latte.

Si deve ricordare sempre che per la carne di pollo e per le uova da consumo la produzione italiana è autosufficiente, mentre per la carne suina, bovina e per il latte la produzione degli allevamenti italiani arriva a mala pena a coprire il 50% del fabbisogno.

Chiarisco, qualora ce ne fosse bisogno, che il mio interesse è che gli allevamenti italiani debbano produrre il fabbisogno totale: ne hanno tutti i mezzi ed il know-how.

Il primo punto critico è l’”italianità”. Qualora un’industria alimentare impieghi il marchio tricolore SI DEVE (è un imperativo della categoria) pretendere che vi sia una informazione completa e corretta al consumatore.

Se la torta o la pasta che produco e vendo sbandierando il tricolore è fabbricata con polvere di uova provenienti dall’Ucraina, senza nulla togliere alle produzioni ucraine, DEVO indicare la provenienza (data e luogo di produzione) dell’ingrediente uovo così come è in realtà.

Stesso discorso vale per qualsiasi altro tipo di prodotto: formaggio, latte e suoi derivati, carne e derivati della trasformazione della carne. Questo punto critico è il primo gradino della scala.

Il secondo gradino è definire come industria alimentare ogni punto della filiera (che chiamiamo per comodità SITO) e come consumatore ogni punto della filiera (ogni sito) che acquista “la derrata alimentare in divenire).

Il tutto non avrebbe la stessa valenza se il marchio NON vantasse alcun legame territoriale. Ho visto sempre più prodotti con l’indicazione “made in UE” e, come operatore del settore zootecnico italiano, ho avuto paura e mi sono sentito impotente, in quanto questa dicitura scavalca di netto il secondo gradino.

Il secondo gradino è importante perché DEVE costituire una sicurezza, tutta da dimostrare, per tutte le attività operative che vengono attuate nel sito e che si assume la responsabilità qualitativa anche di ogni ingrediente in entrata. Abbiamo potuto constatare quanto sia semplice e veloce distruggere la credibilità ed il valore di un marchio. Una singola mozzarella che cambia colore oppure un prodotto a base di carne che provoca degli scompensi ormonali fanno parte della storia.

Nel presente e nel futuro avremo nuove allerte e per motivi più disparati.  

 

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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