Minusio – Know-how e specificità
Il know-how è uno dei fondamentali per la crescita. Ho vissuto l’epoca delle lavatrici e dei frigoriferi. Non c’era in europa nessuno che ci battesse. Eravamo i cinesi europei. Facevamo frigoriferi e lavatrici proprio per tutti perché per noi la flessibilità nel disegno era naturale. La standardizzazione non era e non è, ma su questo punto ho dei dubbi, nel nostro dna. E poi lavoravamo ed abbiamo inondato tutta europa. Non ce n’era per nessuno. Ma il know-how non può essere parziale, riguardare solo un aspetto anche se importante. Se riguarda solo un aspetto prima o poi verrà perso. Quello che voglio dire è che una squadra non è grande perché ha Messi, sto portando l’esempio del gioco del calcio, ma Messi è importante perché gioca in una grande squadra. Fare frigoriferi molto bene ma non avere il know-how nella gestione amministrativa, oppure operare in un contesto dove il carico fiscale e l’organizzazione burocratica sono asfissianti è uno sforzo inane. La curva di Gauss vedrà presto la fine. Prima di ritornare alla sicurezza alimentare mi sento di portare un altro esempio, vissuto. Sino al 1974 in Italia non era possibile brevettare una sostanza farmaceutica per uso umano, animale o per le piante. Era una legge, del tempo fascista, se non erro, ed era stata fatta per impedire un monopolio antinatura. Questa legge permise la formazione di una scuola professionale di altissimo livello, nel comparto della chimica, della costruzione delle macchine chimiche, della gestione delle acque reflue, della logistica. Mi ricordo che a Bresso, alle porte di Milano, l’industria chimica dr.Re produceva tutti gli antibiotici di fermentazione e tutti i farmaci di sintesi allora conosciuti ed utilizzati. Cosa inaudita in qualsiasi altra parte del mondo, almeno di quelle parti in cui ho girato per lavoro. Chiunque provenisse da tale fabbrica, fosse anche un magazziniere, era una risorsa super ricercata. L’esempio anche di F., operaio della bracco, che fuori orario, utilizzando attrezzi di produzione obsoleti e scartati dalla propria industria, da lui rimessi insieme con il fil di ferro, produceva, in un garage, piccole quantità di prodotti chimici e/o intermedi, non in concorrenza con la ditta per la quale lavorava. Dormiva in una 500 con una sveglia per essere pronto a fare l’intera sintesi durante la notte. Era lo stesso che poi costruì una industria chimica con i fiocchi. Mi incontrai con lui, la frequentazione era sistematica almeno una volta ogni mese, per la fabbricazione di un prodotto. Chiamò due tecnici, i quali avevano un atteggiamento ritroso (tipico). Aprì l’index merck e guardò la formula. Riparlò con i tecnici. Mi chiese “ma sei sicuro della quantità? 1000 kg ogni mese. Me lo confermi.”. Iniziò: la prima sintesi andò buca, la seconda riuscì al 15%, dopo tre mesi avevo i 1000 kg, che arrivarono a 2000 kg/mese, la qualità era seconda a nessuno, vendevamo in italia ed in europa. Dopo 15 mesi arrivò la multinazionale con un contratto per 5 anni per 3000 kg per mese ad un prezzo superiore di quanto lui vendeva a me (cosa risaputa). Altro esempio nel campo chimico è la figura del dr. G, viveva ad arese ed aveva il proprio mini laboratorio di ricerca. Migliorava le sintesi ed i singoli passaggi delle sintesi, facendo consulenza. Insieme lavorammo su diversi prodotti e/o tappe della sintesi ed anche sul consumo delle acque e sul recupero delle stesse. La sua consulenza veniva pagata in % minima sul beneficio economico che veniva apportato alla ditta chimica italiana o no. Il mio contatto era per alcune ditte spagnole ed ero affascinato da come poneva i paletti dei problemi: dove siamo oggi, dove vogliamo arrivare. Il dr. V. invece proveniva da dr. Re di bresso. In spagna era un tecnico richiestissimo perché conosceva le sintesi di almeno una trentina di prodotti e sapeva far funzionare lo stabilimento su programmi misti, rifece quella trentina di prodotti almeno in cinque diverse industrie. Per non parlare del professionismo sulla fermentazione di napoli e/o di altri punti di produzione (sulla fermentazione ho avuto modo di incontrare dei geni ed erano personale operative) e per non parlare delle macchine e degli attrezzi. Poi nel 1974 come contropartita per un prestito per salvare la lira (non era per salvare ma solo per rimandare di uno o due anni la svalutazione) il parlamento abrogò la legge sulla non brevettabilità dei farmaci, che era una specificità italiana. Nel giro di 10 anni fini tutto l’impero chimico. Il know-how svaporò. Quando si parlava si era indietro, non si era aggiornati. Era storia.
Il know-how è un atteggiamento mentale continuo e riguarda ogni dettaglio: conoscere, applicare, innovare. E’ un processo circolare e riguarda ogni aspetto dell’attività. Se si perde anche una singola parte il tutto viene messo in discussione. Continuo miglioramento ed equilibrio. Il primo punto è la conoscenza, sapere di cosa si parla, per verificare la sapienza l’applicazione è determinante. Solo applicando la conoscenza mi rendo conto di come (in senso lato) si crea il risultato. E solo guardando il risultato a cui ho partecipato e con le conoscenze che ho sono in grado, sempre, di vedere dove posso ancora migliorare. Se poi non sono solo ed anche gli altri utilizzano un simil metodo, non c’è n’è per nessuno. E questo è un procedimento senza fine.
La sicurezza alimentare è per il nostro territorio, oltre che un dettame normativo, una opportunità storica. Il cibo italiano è ritenuto e percepito come di alta qualità: film, libri, letteratura, turisti, indigeni. La varietà dei piatti: vegetali + prodotti animali è ritenuta di alta qualità ed è una continua scoperta e vi è ancora territorio vergine.
Il know-how merita di essere rivisto e non solo relativamente alla produzione, oppure alla sola etichetta, oppure alla sola dimensione e forma, magari brevettata, di un formaggio. Il know-how deve riguardare tutto l’insieme. Non guardandolo nell’insieme non abbiamo dato importanza, ad esempio, alle discussioni sulle leggi e sui regolamenti della UE, non partecipando o facendo partecipare risorse non sufficientemente preparate a difendere gli interessi e le specificità del nostro territorio. Ma non tutto è perduto. Certamente abbiamo subito un danno difficilmente calcolabile ma dalla nostra abbiamo l’alto indice di percezione dello “stile italiano”, e sto parlando di alimentazione.
Questa affermazione, che merita di essere approfondita, è la ragione di come sia importante che la revisione comprenda tutti gli attori:
–gli allevatori, i produttori degli alimenti nutrizionali e terapeutici, i medici veterinari, i macelli, i trasformatori
– gli agricoltori, i distributori, i trasformatori
– i ministeri, gli enti regionali, provinciali, le asl
ma con un disegno d’insieme.
Sto faticosamente trattenendomi dallo scrivere che si deve “fare squadra”. Ma è così, e per fare squadra occorre definire come vogliamo giocare, considerato il nostro stato di forma, il campo, l’avversario nel suo insieme e nei singoli, confrontandoli con i nostri singoli, e di come sono gli spogliatoi, i servizi degli spogliatoi, i palloni ed i raccattapalle, le righe e la rasatura del campo, l’illuminazione, se del caso, e gli spalti e la sicurezza per gli spettatori e per i giocatori, e la direzione, i fisioterapisti i preparatori, l’allenatore, il capitano, e…. Tutti i vari punti e puntini.
Lo so che non è facile. Lo so che non ci siamo riusciti. Lo so che ci sono paesi esportatori che vedono questa posizione come “tremenda eresia” e sono assolutamente contro. La loro fattura, quando incassano esportando nel nostro paese, è superiore, e di molto, di quanto l’italia tutta spende nell’approvvigionarsi di energie, e quindi vale veramente la pena per loro di difendere l’occupazione della colonia. E sono contro e la mantengono lottando anche al nostro interno, facendo passare caterve di know-how targato loro, con la conquista di posti chiave nelle varie associazioni “tanto gli italiani è dal tempo delle signorie che chiamano i “salvatori” da fuori”, con acquisizioni in parti di produzione e di distribuzione: siamo una colonia ed è logico che siamo visti così. Conquistare il tesoro è la gestione del cibo italiano. Io personalmente ho interesse che sia cibo italiano se tutto, ma proprio, proprio tutto venga conosciuto, applicato ed innovato in italia. Altrimenti è cibo, ma che non sia assolutamente legato in alcun modo all’italia. ce n’nel disegno era ovvia. La standardizzazione non era nel nostro dna. E poi lavoravamo ed abbiamo inondato
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