Il dovere dell’esilio 03

Il dovere dell’esilio 03

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E parlano dei loro problemi, discutono tra loro per chi deve dar da mangiare al loro cane, e sempre con il telefonino in mano diteggiando sms anche senza guardare la tastiera, e questo nella abitazione dove vivi. Uno contro l’altro armati, in lotta. E ti accorgi che occupano la piazza come una manifestazione, urlano e si bisticciano per non permettere a te alcuno spazio, non dico di parola, ma neanche di ascolto, fisico: riesco persino a vedere le loro bandiere rosse e di altri colori, portano magari dei fazzoletti sul viso. Ma chi sono? E soprattutto che ci faccio io qui? Proprio non li riconosco. Sono razzista nei confronti della mia prole e sottoprole. I loro sono problemucci, delle emerite sciocchezze, che mentre le dicono svaporano da sole tanto sono inconsistenti. Ma ho capito da tempo che non vale la pena di entrare nel loro continuo diverbio. Non entro perché i miei fondamentali non sono i loro? Certamente i miei fondamentali non sono i loro, questo è sacrosanto, ma non hanno fondamentale alcuno poiché tutto ciò che possiedono per loro non ha alcun valore, il valore è sempre effimero, vale durante il cambiamento, ma non appena ottengono qualsiasi cosa, per loro perde immediatamente tutto il valore, ma, e questo per me è incomprensibile, neanche lo sforzo per averla ha per loro alcun valore. Il voler volere per me resta il fondamentale. Per loro non è così. Quale è il senso di discuterne? Non ne vedo alcuno. Vorrei non ascoltare, ma non mi va di restare con dei batuffoli di cotone nelle orecchie e quindi l’alternativa nobile, elegante è quella di darsela a gambe, ma senza farsi notare. Andare in esilio per ritrovare il senso al di là dell’oggetto, il senso del sorridere ricordando il perché della scelta, la gioia dell’utilizzo, e ritrovando gesti passati solamente sfiorando, odorando, utilizzando anche per un solo piccolo momento. Condividere tutto questo con dei trogloditi? Ma neanche per sogno. – Papà, ti ricordi la radio in cucina? – Come? Non ho capito. – La radio, quella bianca che avevamo in cucina. – Ah! Quella che avevo comprato a Milano. Sotto la finestra. E mentre mi racconta dei giovedì quando trasmettevano teatro, io rivado a quel motivetto delle sette di sera, a quel “ballate con noi” che piaceva tanto a mia mamma. Dalla radio, mio padre, novantaseienne, passa ad altro argomento, ai vetri che si appannavano, alla stufa, al secchio dell’acqua. Eccomi a casa. Anche nel nido che mi sono fatto vi sono oggetti, cose, abitudini, che hanno segnato dei comportamenti e che rimangono, danno importanza al mio presente, questa è casa.

Ma come faccio con il pianoforte e le mie musiche? Avessi almeno studiato chitarra, sarebbe stato più semplice. Anche con un sax. L’ho comprato solo per arrivare a suonare “un’ora sola ti vorrei”, con una accettabile maestria, poi non l’ho più utilizzato. Ma non è che sono un po’ spostato?

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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