Riflessioni sulla difficoltà di essere figli

Riflessioni sulla difficoltà di essere figli

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E’ una riflessione del 1985 che presento ad un incontro a Locarno per un dialogo.      

Riflessioni sulla difficoltà di essere figli, con il fine di indicare la o le soluzioni per diminuire le difficoltà. (1985)

Sento il bisogno di raccogliere le riflessioni poiché da più parti mi viene posto in evidenza il disagio tra genitore e figlio e viceversa, e io stesso lo vivo, sia come genitore che come figlio.

Anche se l’esperienza personale esercita una notevole influenza sulla concatenazione e le priorità delle riflessioni, devo cercare di generalizzare e poi, nel caso, arrivare ad esaminare i particolari per verificare le ipotesi di riflessione e eventuali soluzioni alternative.

Essere figli

Per figlio intendo il vincolo di dipendenza. La difficoltà del momento è essere, in tutti i sensi. Questa è un’era che non insegna e non premia l’essere ma piuttosto l’apparire e quindi è ancora più difficile definire essere.

Intendo per essere: sentirsi, avere coscienza di sé, vedersi dall’esterno con il terzo occhio, vivere da.

Figli: il prodotto di genitori. La parola prodotto mi ha fatto riflettere prima di utilizzarla, ma in definitiva è questo, anche se non mi soddisfa pienamente. Genitore padre e/o madre, ma anche maestro, figura del sociale. Figlio è comunque un concetto di “prodotto da”, da cui deriva o contiene un rapporto di provenienza e di dipendenza (naturale, intellettuale, psichica, economica, tra altro). Anche dipendente è un prodotto da una volontà di avere, di dare, di tenere presso di se.  In un primo momento vi è una forte correlazione tra le due figure. Questo punto è importante poiché vi è una visione che diventa mano a mano maggiore da parte del figlio, ed è una visione che mette sempre più in evidenza caratteristiche negative del “genitore”, da qui anche il senso di disagio per averlo visto in maniera differente, prima.

Ed è sul fatto delle difficoltà di essere figlio che voglio riflettere, quindi sul rapporto figlio-genitore visto dall’ottica del figlio, mentre delle difficoltà è soprattutto il genitore che mi parla. Ragionamento che mi porta ad esaminare il rapporto di interdipendenza gerarchica, in senso generico. Dal greco “sacro, essere a capo”, ma soprattutto dipendere, comunque.

Come schema mentale preferisco autopilotarmi in un ragionamento obbligandomi ad un posizionamento. Mi aiuta in questo caso una mappa. La prima che esamino interpola le variabili tra quelle che chiamo Gioia della contemplazione (ascisse) e Rapporto con la gerarchia (ordinata).

La mappa è un obbligo di posizionamento tra due variabili che da luogo a delle aree.

Gioia della contemplazione

Leggendo la Genesi, gli istanti della creazione, vi è un intercalare ripetitivo che mi aiuta nella definizione: Dio contemplò ciò che aveva fatto, e ciò era buono.

Scimmiottando Woody Allen devo dire che, esempio per esempio, meglio riferirsi al massimo. Ma, ed è uno dei miei fondamentali, l’unica vera gioia è di autocomplimentarsi per ciò che si è voluto (voler volere) fare. Ed è un istante, più o meno lungo, ma temporaneo, perché subito si “sente” che si può fare di meglio, si può migliorare. E la gioia, come intensità, può riguardare ogni azione, senza pregiudiziali, almeno a questo livello, qualitativa o quantitativa. La contemplazione varia nel tempo come qualità e come intensità ed anche la gioia varia, con le interazioni ambientali e societali.

E’ l’intima soddisfazione nell’essere riusciti a fare quel castello di sabbia, oppure nell’essere riusciti ad aprire quel particolare giocattolo, oppure, più grandicello, nell’essere riuscito ad arrivare su quel muretto. Quindi mi sto impegnando per quel determinato scopo che volevo voler fare e sono riuscito a portarlo a compimento. Sento, più o meno, una scarica di adrenalina che mi invade di soddisfazione, di gioia, con-templando (autocompiacimento) il risultato e con-statando che è buon risultato (è quello che volevo), anche se subito dopo sento che posso fare meglio nella stessa azione, oppure rivolgo la mia attenzione, la mia attività, a qualcosa d’altro.

L’inciso che mi sento di sottolineare è la differenza fra lavoro ed attività, differenza che è sostanziale ed importante rapportata alla gioia. La gioia della con-templazione, l’ottengo solo con l’attività e con me stesso. E’ uno dei distinguo fondamentali. Definisco, almeno in queste riflessioni, per attività delle azioni nelle quali mi automisuro ed autoimpegno e nella misura in cui ottengo il risultato migliore, storicamente o rispetto alla media personale, ne provo gioia. Può essere, a titolo di esempio, quel passo in più dopo una ferita, o l’essere riuscito a fare quei sei chilometri e mezzo rispetto ai normali sei (distanza tra Lodi Vecchio e Lodi) sulla cyclette. Certamente ci possono essere delle azioni di maggior qualità e quantità. Ma, e questo è un punto fondamentale, dato che la gioia è più o meno uguale. Più attività, anche e soprattutto piccole, definisco e automisuro e più traggo gioia (abitudine alla gioia). Ripeto che per attività devo intendere qualcosa che ho deciso di fare e per gioia intendo intima soddisfazione. Non devo confondere questo fatto con la soddisfazione che provo per l’approvazione di altri (genitori, istitutori, compagni, società) [gratificazione]. Più ricerco l’approvazione degli altri e più scivolo nell’apparenza, nel lavoro.

I talenti

Questa parabola è bene ricordarsela per chiarire che cosa ci si aspetta dal frutto di uno spermatozoo che, battendo in una gara ad eliminazione contro almeno due milioni di altri competitori, è riuscito a fecondare l’uovo e “prendersi la responsabilità” della vittoria. Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare. Chiamò alcuni suoi servitori e diede loro dieci mine (talenti) e disse loro: trafficate finchè io ritorni. Ma i suoi concittadini l’odiavano, e gli mandarono dietro un’ambasciata per dire: Non vogliamo che costui regni su di noi. Ed avvenne al ritorno, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, che fece venire quei servitori ai quali aveva dato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato trafficando. Si presentò il primo e disse: Signore, le tue mine ne hanno fruttate altre dieci. Ed egli disse: Va bene, buon servitore, poiché sei stato fedele in cosa minima, abbi potestà su dieci città. Poi venne il secondo, dicendo: Hanno fruttato cinque mine. Ed egli disse anche a questo: E tu sii sopra cinque città. Poi ne venne un altro che disse: Signore ecco quanto mi hai dato che ho tenuto riposto in un fazzoletto perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quel che non hai messo, e mieti quel che non hai seminato. E il padrone a lui: Dalle tue parole ti giudico servo malvagio. Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quel che non ho messo e mieti quello che non ho seminato, e perché non hai messo il mio denaro alla banca, e io, al mio ritorno l’avrei riscosso con l’interesse? Poi disse a coloro che erano presenti: Toglietegli le mine e datele a colui che ha fatto fruttare con dieci mine. Essi gli dissero: Signore, egli ha dieci mine. Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Quanto poi a quei nemici che non volevano che regnassi su loro, menateli qua e scannateli in mia presenza.

La parabola parla di mine, di denaro, di talenti. Io intendo un minimo di capacità. Il nobile non dice cosa e come fare dice “trafficate”. La vita di ognuno è storia sempre nuova, unica. E quello che ricevi sta solamente a te saperlo far fruttare. E’ il concetto che ho elaborato di voler volere. Volere non è sufficiente: voglio volere? Se rispondo si a questa domanda sto creando, in ogni caso. Il risultato spetta tutto a me. Ed il risultato che avrò ottenuto volendo volere saprò anche sempre migliorandolo, magari cambiando strada, ritornando anche sui miei passi, andando indietro, ma volendo volere retrocedere sto creando. Non ho paura nel mio “trafficare” e qui, almeno io, lo intendo in senso altamente positivo, un ampliamento del fare, fare ciò che voglio voler fare. A me solo spetta la responsabilità che ho preso, comunque, in quel momento della fecondazione. Responsabilità verso me stesso e verso tutti coloro che ho battuto. E non traffico per avere le dieci, cinque, una città, traffico perché voglio voler trafficare e non mi curo del risultato. Se tenessi alla conservazione, sarei solamente ossessionato del risultato, annullerei il voler volere. Ed è “giusto”, anche per me che mi venga tolto perché di mio non voglio volere niente. La gioia della contemplazione la proverò solo contemplando l’azione, non il risultato, il mio voler volere. E più voglio volere più mi abituo a gioire contemplando il mio essere e non il mio avere. Se mi limitassi all’avere non proverò la gioia della contemplazione.

L’esame della parabola è frettoloso ma mi è utile per comprendere meglio i confini e la definizione della gioia della contemplazione.

Rapporto con la Gerarchia

Nella prima mappa che ho fatto avevo scritto rapporto con i genitori, in quanto stavo riflettendo sulla correlazione figlio → genitore (il senso della freccia è importante). Ma credo che l’uso di gerarchia aiuti meglio nella definizione della dipendenza: con i genitori, con la società, con un partner, con me stesso, con Dio. Gerarchia perché comunque ho una dipendenza. Gerarchia che posso aver visto in un modo, magari adorandola o affidandomi ciecamente, e poi, passando il tempo e le mie interazioni ambientali, societali, intime, vedo con altri occhi, giudico in maniera diversa.

Ed è determinante la figura del giudice, “colui che dice il diritto”, diritto “dirigere”.

Non ho chiarito sufficientemente quello che qui definisco come gerarchia, ma che sarebbe stato meglio definire con autorità. Con i diversi tipi di autorità: padre (nel senso definito dalla scolastica), del signore hegeliano, del capo aristotelico, del giudice platoniano. Ma anche del pontifex (carisma spirituale), del magister (carisma della sapienza a cui posso attingere ma per il “mio trafficare”), dell’artifex (osservando anche con curiosità [voler volere essere curioso]), per potermi allontanare dal munifex (colui che mi può solamente pagare).

In queste riflessioni risulta importante chi, per il figlio, è il giudice e quindi come si pone l’ottica del figlio nella visione-definizione che lui figlio ha del giudice. Dato che devo essere giudicato preferisco, anzi preferirei, esserlo da un insieme di giudici che non da uno solo. Utile il richiamo al saggio di Voltaire “della seggetta” in merito all’estrema variabilità di giudizio di un unico e potente giudice. Anche se qui siamo nell’intimo soggettivo non possiamo non riconoscere che l’unicità ed il potere di tolleranza dell’organo giudicante ha il suo valore.

Sento di dover introdurre, proprio a questo riguardo, del sentirsi nel politeismo e nel monoteismo, e per monoteismo, in maniera specifica Geova.

Un numero maggiore di dei mi consente una poliedricità creativa, mi è più facile sentirmi in grazia anche se con uno in particolare proprio non mi ci trovo.

Geova ed i suoi dieci comandamenti non può che inchiodarmi al senso di colpa. Per di più è un Dio inconcepibile, invisibile, grandissimo, eterno, onnipotente e per di più onnipresente, con una legge ferrea, quindi qualsiasi cosa faccia la farò male, a meno di essere ……, ma anche suo figlio ha avuto forti problemi relazionali con siffatto e terribile padre.

La mappa dà luogo a quattro aree:

Sono certamente una generalizzazione ed occorre definirle. Sono viste dalla parte del figlio.

Colpa

Non traggo gioia dalle mie attività ed il genitore ha un pessimo rapporto con me. Pure se ci sono immense sfumature che andrò a tentare di esaminare questo è quadro della colpa, dei sensi o complessi di colpa.

Colpa: Ogni azione od omissione che contravviene ad una disposizione della legge o ad un precetto della morale, e che per qualsiasi motivo è riprovevole o dannosa.

Complesso di colpa: La coscienza che un individuo ha della propria colpevolezza o responsabilità di un male commesso, o che crede, anche ingiustificabilmente di aver causato, e che talvolta si manifesta con un patologico bisogno di punizione.

Non traggo gioia dalle mie attività poiché non le faccio con spirito creativo, altrimenti ne trarrei gioia. E mi trascino sordo anche alla minima sensazione positiva della minima attività che è quella di esistere.

Ed il genitore è lì a ricordarmi, ogni momento, in presenza o meno, che non servo, che non valgo niente. E’ lo scontro con Geova. E’ la coscienza castrante. Potessi avere trenta dei ne avrei magari tanti ostili, ma qualcuno al quale appoggiarmi, qualcuno con il quale essere in armonia, qualcuno con il quale, anche se limitatamente al suo “regno”, sentirmi, se non eroe, almeno un po’ più di normale.

Invece ne ho uno, il quale mi ha dato la regola in dieci punti. Ed è una regola inosservabile che mi fa dire “non fossi mai nato” e che mi rende ossessiva anche la morte, con la pena eterna.

Pena

Traggo gioia dalle mie attività ed il genitore ha un pessimo rapporto con me.

Anche qui, come in ogni quadro, vi sono diverse sfumature che tenterò più avanti di esaminare.

Pena: patimento, afflizione, dolore, dispiacere, anche quando non siano o non appaiano punizioni di una colpa. (sofferenza morale).

Sono contento di ciò che faccio e di come lo faccio e provo sofferenza di provare gioia, di esternarla che mi si veda.

Siamo alla masturbazione al chiuso.

Falsità

Non traggo gioia dalle mie attività ma il genitore mi dimostra che è contento di me, di ciò che faccio.

Ed io so che non può, non deve, esserne contento.

Falso: Che non ha fondamento di verità e si discosta da essa pur avendone l’aspetto, per cui può trarre in inganno e/o in errore.

Con-vivenza

Traggo gioia dalle mie attività ed il genitore è contento del mio comportamento. Viviamo insieme. Sono contento di esserci e di essere stato fatto dal genitore. Siamo in empatia.

Sono contento di come faccio e di essere stato fatto ed il genitore è contento di avermi fatto per come faccio.

Ho voluto schizzare le quattro aree per aiutarmi nel delineare le situazioni che tenterò di esaminare più da vicino.

In effetti la generalizzazione non aiuta ed il più delle volte trae in inganno ma devo stare per forza di cosa sulle generali.

Definisco: – ± +

–        nel senso di assolutamente negativo

+        nel senso di assolutamente positivo

±       nel senso di parzialmente positivo o negativo.

Area PENA

Distacco mentale

Sono assolutamente sicuro di trarre gioia dalle mie attività mentre il genitore è assolutamente scontento di me. E’ una fase conflittiva nella quale, come figlio, posso giustificare il genitore in quanto prova invidia.

Il mio ben-essere è comunque prioritario e da difendere quindi non devo tener conto del giudizio del giudice (che resta giudice anche se gli ho tolto questa funzione).

Devo quindi arrivare al distacco mentale. Ho superato il conflitto: il giudice non è mai esistito.

Distacco fisico

Sono parzialmente sicuro di trarre gioia da alcune attività mentre il genitore è assolutamente scontento di me.

E’ una fase conflittiva che pone una barriera, barriera che aumenterà di spessore e di intensità nella misura in cui darò importanza alle attività da cui traggo, anche se parzialmente, gioia.

Riduco i tempi di contatto. Riduco la fase con-versativa. Mi isolo cercando aggregazioni alternative o altri giudici. Non lo riconosco più come giudice, decido che per me non è più il mio giudice, non può più esserlo. “Dio, come è cambiato e cosa è diventato.”

Senza il valore di giudice cadono i valori corollari e se non sono in stato di necessità, mi distacco.

Forse sta capendo

Sono assolutamente sicuro di trarre gioia dalle mie attività mentre il genitore è parzialmente insoddisfatto del mio comportamento.

Giustifico la freddezza del giudizio con la differenza generazionale. Sono altri tempi, sono altre situazioni. Sono sicuro di me e sono contento di essere diverso dal genitore, perché sono migliore. Il giudice è troppo severo, ma è giudice.

Stallo

Sono parzialmente soddisfatto della gioia che traggo dalle mie attività, da alcune, ed il genitore è invece parzialmente scontento del mio comportamento.

Forse vede il bicchiere mezzo vuoto ma in effetti non ha tutti i torti. L’attenzione per il giudice resta.

Area COLPA

Annientamento di tutto

Sono assolutamente scontento di ogni cosa e di come la faccio ed il genitore è assolutamente condannante.

Non provo alcun rispetto per me stesso.

Rispetto: Sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stesso di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli.

So di essere una nullità o peggio ed ho un giudice implacabile. E’la furia distruttiva. E’la manifestazione della ribellione.

Annientamento di sé

Sono assolutamente scontento di come faccio ogni cosa mentre il genitore è parzialmente contento, anzi parzialmente insoddisfatto del mio comportamento.

Non ho alcun rispetto verso me stesso ed il genitore, anche se si sforza, mi giudica una nullità anche se resto pur sempre un suo prodotto.

E’ la fase del rimorso atroce, del bisogno di togliersi fisicamente di mezzo.

Fuga

Sono parzialmente insoddisfatto di come faccio e del mio comportamento, mentre il genitore è assolutamente condannante.

Non ho un gran rispetto verso me stesso ma in ogni caso non vedo perché il genitore sia totalmente condannante.

Stallo

Sono parzialmente insoddisfatto di come faccio ed anche il genitore è parzialmente insoddisfatto.

Area FALSITA'

Annientamento di sé

Sono assolutamente insoddisfatto di come mi comporto ed invece il genitore è soddisfatto anche se non totalmente.

Non ho alcun rispetto verso di me e di come mi giudica il genitore. Non merito rispetto in quanto io non ho rispetto per quello che faccio. E se aprisse gli occhi?

Apparenza vuota

Sono assolutamente insoddisfatto di tutto il mio comportamento mentre il genitore giudica e giustifica totalmente ciò che faccio e di come mi comporto.

Mi adeguo, mi vuole così? E così appaio anche se a guardarmi mi faccio schifo.

Apparenza recuperabile

Sono insoddisfatto di come mi comporto nella stragrande maggioranza dei casi di come mi comporto mentre il genitore giustifica e giudica positivamente il mio modo di fare.

Non sono un gran che e mi giudico con poco rispetto, ma ci sono e mi adeguo, anche se non mi piaccio più di tanto.

Stallo

Sono insoddisfatto di come mi comporto nella stragrande maggioranza dei casi mentre il genitore è contento, anche se non totalmente, di come mi comporto.

Non sono un gran che ma qualcosa di buono, almeno per il mio giudice, l’ho.

Area CON-VIVENZA

La suddivisione è ovvia, seguendo le generalizzazioni, frettolose, precedenti.

Dò per scontato che ogni generalizzazione in assoluto non esiste e che il problema determinante è quello dell’approfondimento e dell’esame delle definizioni.

La mappa iniziale mi può dare, a questo punto, le seguenti aree:

A questo punto posso individuare i percorsi strategici, il divenire del rapporto con me stesso e con il genitore (l’autorità).

Percorso strategico che può essere orizzontale o verticale oppure orizzontale e verticale contemporaneamente. Percorso che può essere più o meno rapido: una grande varietà di combinazioni.

Una ulteriore variabile che si deve considerare è la profondità, il grado di percezione del dove si è e del dove si dovrebbe essere.

Lo schema deve essere rappresentato anche con i livelli di profondità.

I livelli sono importanti in quanto consentono di considerare i differenti percorsi strategici per definire prima e poi migliorare il posizionamento. La stabilità di un percorso è maggiore se il figlio ed il genitore stabiliscono il punto in cui sono ed il punto d’incontro, allo stesso grado di livello. Più alto è il grado di livello di profondità, più stabile e duraturo è il percorso. La profondità misura il grado di percezione dell’importanza ed il grado di convincimento in merito alla problematica.

La gioia della contemplazione è un abito mentale che va dalle cose più futili e frivole (ma se c’è gioia, futili e frivole lo sono molto meno), alle più importanti. E deve essere definita di diversi livelli tra i due. Lo stile o il perché si faccia o si tenga un dato comportamento (fare qualcosa in un determinato modo) è soggettivo mentre la gioia la si può quasi vedere, toccare. Intendo la gioia di un altro, si “sente” se è gioia oppure finzione, ostentazione.

Lo schema, a questo punto, mi appare ovvio: se due, figlio e genitore, non hanno la stessa profondità di cultura e non danno la stessa importanza a valore alla gioia è più facile che si trovino in disaccordo. Ed è forse in questi dislivelli di cultura e di valori il momento in cui i percorsi divergono. Mi sembra utile, in questi casi, avere una specie di carta stradale che aiuti nel posizionamento: d’altronde difficilmente si consulta una carta stradale se non si ha la necessità di cambiare posizione per incontrare qualcosa o qualcuno.

II stadio

Dopo una pausa di riflessione e di timido confronto mi trovo incollato ai livelli. I livelli restano indispensabili qualora si vogliano iniziare i percorsi.

Per quanto riguarda il figlio (dipendente) definisco i livelli:

I livelli hanno la caratteristica della temporaneità, la profondità è legata all’emozione.

Superficialità

E’ l’emozione momentanea, legata all’effimero, è il livello sul quale il posizionamento è incerto, precario e vi sono incoerenze. La scala dei valori è molto personale e non ben definita, il senso di responsabilità non ha un raggio di azione molto al di fuori della propria corporalità.

Meditazione

“Pratica ascetica per cui il credente si raccoglie in se stesso e, riflettendo sulle verità di fede, rende più intensa la propria vita spirituale”.

“Concentrazione della mente nella speculazione e contemplazione di verità religiose o di problemi filosofici o morali.”.

Momenti di raccoglimento per esaminare un problema filosofico o morale ed il proprio atteggiamento-comportamento tenuto o da tenere.

Ci si raccoglie poiché si da un valore al problema ed al proprio comportamento nei confronti del problema.

I momenti di meditazione se ripetuti portano a determinare una scala di valori ed una serie di fondamentali. La gioia della contemplazione è più intensa sui valori fondamentali. Per gioia, o meglio per intensità intendo vuoi il valore positivo che negativo.

Iniziazione

Il fondamentale è essere e la gioia della contemplazione si sposta sul passo in avanti, anche minimo, lungo la via. E’ il concetto di viaggio, infinito come infinito è il cammino già percorso (ucronia). La coerenza verso se stessi diventa il fondamentale anche se il viaggio modifica il paesaggio, se stessi e quindi la coerenza.

E’ la rinascita, è l’innovazione.

Il proprio posizionamento quindi può variare in funzione del livello al quale ritrovo o mi pongo.

Visto sempre dall’ottica del figlio, il padre (l’autorità, il giudice, gerarca, pontifex) ha una profondità a tre livelli:

I livelli sono caratterizzati, per il figlio, dalla propria temporaneità (età, processo evolutivo, momento esistenziale) e dal senso di rispetto.

Potere

Il un legame gerarchico ed in un rapporto di dipendenza è questa la dimensione immediata. Il padre, il giudice (l’autorità) ha per il figlio (dipendente, sottoposto, subalterno) un potere di per sé, che non discute ma che in un secondo tempo mette in discussione (giudica). Dopo questa verifica, che può essere continua ad intervalli di tempo, vi è riconoscenza o meno del potere.

Il potere può essere materiale e mentale ed anche la riconoscenza (nel senso di verifica della giustezza del potere) ha queste componenti che possono essere disgiunte.

Formazione

Il figlio va al livello più profondo solo dopo la verifica della riconoscenza. Sono attento e mi interessa il rapporto gerarchico o il giudizio del padre (autorità) in quanto li ritengo utili per il mio processo di formazione. So che dall’opinione, giudizio, posso facilitare le mie azioni oppure trarne dei vantaggi. Riconosco l’esperienza anche se parcellizzata o limitata in determinati ambiti.

Educazione

La riconoscenza è profonda, mi faccio condurre per mano. Il padre, il giudice è un maestro del quale riconosco l’esempio morale e sento che devo affidarmi e sento che mi porta verso il mio bene.

Sono schematizzazioni tracciate in tutta fretta e generalizzate. Diversi quindi sono i posizionamenti. Immagino che la mappa, così come descritta, possa ritornare utile qualora si renda necessario un percorso. Visto dal figlio questo può significare quando questi, non essendo soddisfatto voglia o chiarire le ragioni dell’insoddisfazione oppure portarsi a stare meglio. Questo “stare meglio” deve essere molto ben definito.

Prima di iniziare un percorso vi è, anche inconsciamente, il posizionamento.

Visto dall’ottica del figlio il posizionamento esamina le tappe:

  1. Proprio livello
  2. Livello del giudice e suo posizionamento
  3. Proprio posizionamento linea gioia.

La II e la III tappa possono essere intercambiabili.

E’ abbastanza probabile che se il posizionamento avviene consciamente, ci si trovi al 2° livello, al livello meditativo. Se decide di effettuare il percorso il punto di posizionamento diventa il punto di partenza.

Mi risulta difficile spiegare il posizionamento ed occorre tener presente la tridimensionalità della mappa. La linea dei livelli non è quasi mai parallela alla linea del rapporto.

Graficamente, e giusto per aiutarmi nella continuazione delle ragioni di un percorso, mi riesce meglio figurare la spazialità dei livelli nel modo seguente:

Se il figlio si posiziona, ad esempio, a 0,5 (a metà strada tra un’osservazione del tutto superficiale ed una profonda meditazione) potrà posizionare il padre a 0,5, ma è raro; con maggior frequenza posizionerà il livello del padre più verso lo 0 oppure più vicino ad 1.

Visto nell’ottica del figlio sarà più portato a posizionare il padre verso il potere e la superficialità, non fosse altro che è lui a “pensare” il posizionamento.

Questo fatto è da tenere presente poiché può influenzare il percorso.  Fatta la linea tra i livelli, normalmente obliqua, fissa il posizionamento del padre sulla linea della gerarchia.

Fisserà poi il posizionamento sulla linea della gioia.

La decisione del percorso può essere a questo punto presa. Non intendo che ogni volta un figlio, un subordinato, debba fare tutto quanto sopra descritto, lo si fa anche inconsciamente ed in tutta rapidità.

Più si scende nel proprio livello e più si da importanza al proprio posizionamento ed a quello del padre, alla temporaneità, alla scala dei valori, alla intensità.

Il percorso avviene al momento che viene fissato il punto di arrivo che può essere in più direzioni.

L’attuazione del percorso è un processo più elaborato che prende in esame:

  1. Il contratto con se stesso
  2. La tattica con la gerarchia

 

La caratteristica del posizionamento, del percorso e dell’attuazione del percorso è che normalmente avviene in fase solitaria e non ha come obiettivo un colloquio, una chiarificazione.

Il genitore, se e quando prepara il posizionamento ed il percorso è, quasi sempre, preparatorio al colloquio.

Il colloquio

Il momento oppure i momenti di comunicazione. Dovrebbe avvenire in tre fasi:

Fase 1 - Livello

Definizione del proprio e dell’altrui livello. Chiarificazione. Se non vi è con-senso, inutile o poco proficuo andare oltre.

Fase 2 - Posizionamento punto di partenza

Definizione del proprio e dell’altrui posizionamento.

Se non vi è con-senso inutile proseguire.

Fase 3 - Posizionamento punto di arrivo temporaneo

Se la Fase 2 viene superata questa è relativamente in discesa.

Mi sembra tutto o molto complicato o molto semplicistico, ed ho voluto provare il metodo su di me e su alcuni casi particolari.

Il comportamento del figlio e del padre è determinante nel posizionamento vuoi sulla linea della gioia e vuoi su quella dei rapporti.

Soggettivo resta il livello. A questo punto voglio metterlo in pratica.

FASI

Percorso del figlio

Non ne parla, è solitario

Percorso del genitore

Prioritario al colloquio

1

Definizione proprio livello

Definizione proprio livello

2

Proprio posizionamento attuale linea gioia, posizionamento giudice. Punto di partenza

Posizionamento del figlio su gioia, posizionamento di come il figlio posiziona il genitore (comportamento). Punto di partenza

3

Punto di arrivo intermedio.

Contratto con se stesso

Tattica con gerarchia

Punto di arrivo

Tappe strategiche e tattiche

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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