Il senso
2024-12-03non sempre ciò che capiamo è quanto tratteniamo da quello che ci viene detto e non sempre ciò che campiamo poi lo applichiamo e se lo applichiamo facciamo del nostro meglio.
Abbiamo terminato di preparare gli zaini per la vacanza. Con gli amici siamo nel giardinetto di Ascona, a casa mia. La conversazione abbraccia diversi temi: i giovani ed il loro disincanto, la crisi economica ed il suo perdurare, la perdita di continuità nella politica, il crollo delle chiese cattoliche in particolare. Come sempre tanti temi, il cui filo rosso è una visione negativa o preoccupante del futuro. Il futuro sarà, preoccupante o no, sarà e sarà gestito da coloro che vi parteciperanno. Il filo rosso, almeno per me, è che nei Paesi dell’Occidente, si vive uno spazio temporale caratterizzato dal fatto che la nuova generazione molto difficilmente avrà i mezzi e le possibilità della generazione precedente, e mi riferisco anche alla incerottata Unione Europea. Era il 56 o 57 e mi trovavo a Lodi quando venne l’annuncio della prima unione economica tra Nazioni dell’Europa. era la Ceca, se non vado errato. E mi resi conto, imberbe quale ero, che si stava piantando un albero. Allora vi era una occasione annuale per piantare alcune piante. Ci si ritrovava intorno, si parlava dell’importanza della flora, della terra, del concime, della luce, dell’aria, e mentre si piantava la pianta pigliavi un pugno di terra e la spargevi intorno alle radici che cadevano nella buca, oppure sulla buca appena riempita. Perché tutto questo? Perché partecipare e dare un senso alla partecipazione è fondante. Ancora oggi, vado a vedermi le piante da me a suo tempo piantate, con lo stesso rito mentale. E mi sento unito a loro. La generazione vecchia, non so per quale motivo, ha fatto di tutto per tagliare le radici, e la generazione nuova ha continuato in questa atmosfera di poter fare a meno delle radici. Ma non si può fare a meno delle radici! Allora si considerano radici altre cose, cose nuove, l’individualismo, la libertà nelle scelte di vita, lo sballo sotto differenti forme. Ma le radici sono tali se permettono il formarsi del senso di appartenenza e l’accrescere dell’identità. Appartenenza non la puoi soltanto dire, non sono parole, la senti, la vivi, ne hai bisogno, dentro di te c’è un fremito: “Io ci sono”. Mica facile! Eppure se, ed è questa una osservazione del tutto personale, mi soffermo ad esaminare delle situazioni di lavoro, di svago, comuni (una impresa anche piccola, una squadra anche ridicola, una azione di volontariato), ritrovo quasi sempre un motivo di orgoglio nella partecipazione, e normalmente sono esperienze che danno risultati quasi sempre positivi o comunque non negativi. Le radici hanno a che vedere con la storia. Basta parlare in una impresa anche piccola, oppure in una squadra, sempre si inizia: “tutto è incominciato quando….”. E’ la storia. E “noi” (ma questo pronome ha ancora valore? ha ancora senso?) le nostre radici le abbiamo divelte e continuiamo imperterriti a farlo. Le radici non sono tra loro uguali. Vi è un fittone, ma poi vi è un reticolo di radici e radicette (provate a capovolgere una pianta anche da vaso per la verifica), ognuno delle quali si è adattata al microambiente o micro situazione del terreno, facendo delle svolte, dei contorcimenti, ma irrobustendo la parte superiore della radice e nella parte inferiore, continuare, comunque, a proseguire. Le radici non sono ferme. Le radici continuano, comunque. E tutta hanno un obiettivo che non vedono, ma sentono, l’albero che cresce in altezza ed in larghezza, che mette foglie, che, magari fa frutti e semi, per creare altre radici. Senza le radici manca l’appartenenza e l’identità, manca l’ancoraggio. Per quanto riguarda il contratto tra diversi membri della Comunità europea mi spiace. Si fa un gran parlare di Unione, ma si sta sfaldando anche il termine Comunità, poiché non si è dato valore e tempo al consolidamento di questa fase. Sono preoccupato? Mi dite che nel 2019 vi saranno delle elezioni europee, ma che volete che importi della mie preoccupazioni? Io sono convinto dell’importanza della Comunità, delle regole comuni, seppure con stili differenti, mi sento europeo dentro. Prima ancora che lodigiano! Avevo 22 anni e in Place Dam, con due amici olandesi, entrai nel bar che c’era, allora nella piazza, e sul vetro c’era scritto, in olandese, in inglese ed in italiano: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. I miei amici sorrisero. Entrai e chiesi in italiano “Una genève, ma di quella buona, eh?”. Pagai per tutti, poi gli altri fecero altri due giri ed il barista bevve con noi. I due amici olandesi, seppure stentatamente, parlavano italiano, o almeno qualcosa di simile (spagnolo, italiano, francese, con le finali tonali anglo sassoni).
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