Il senso
2024-12-03non sempre ciò che capiamo è quanto tratteniamo da quello che ci viene detto e non sempre ciò che campiamo poi lo applichiamo e se lo applichiamo facciamo del nostro meglio.
Il nemico? Ma chi è? Riflessioni nella riserva di Ascona.
Nell’introduzione dell’Arte della guerra Sun Tzu afferma. “L’arte della guerra è di importanza vitale per lo Stato, in quanto ne dipendono la vita e la morte di soggetti. Non rifletterci profondamento e non lavorandoci coscienziosamente significa essere colpevoli di indifferenza per il possesso o la perdita di ciò che uno ha di più caro. E questo non deve accadere presso di noi.”.
Ci viene ricordato che la guerra è una realtà troppo grave perciò deve essere considerata con il massimo della serietà. Sun Tzu invita a ritornare sulla figura del nemico, perché la realtà della guerra, se è cambiata nel corso della storia per le sue forme, per come veniva praticata anche relativamente alla sua intensità, è sempre ben definita da una stessa situazione che ci confronta con questo “altro” assoluto, con il quale, almeno durante la guerra, non è possibile alcun “noi”.
La Francia , oggi, è un paese in guerra. Questa dolorosa realtà, che non è stata conosciuta dal nostro territorio da più di settant’anni, si è ricordata di noi tragicamente nel gennaio e poi nel novembre scorso, con l’irruzione di un terrorismo militarizzato – e questo è un fatto nuovo – di ispirazione jihadista, e potrebbe manifestarsi nuovamente in un prossimo domani qualsiasi. La domanda relativa al nemico ci si impone, richiedendo una risposta evidente e nel contempo dalla distorsione sensoriale che esige una tale risposta. I fatti definiscono in maniera chiara il nostro attuale nemico: Daech (Isis). Ma, se l’epoca contemporanea disturba le certezze che ci hanno confortato in parecchi secoli di storia militare, non ci si deve far ingannare dalle definizioni di parole così serie come “nemico”, “guerra”, “strategia”. Come designare e definire il nemico? E’ necessario solamente definirlo? Questo è un antico problema diplomatico, politico e strategico, ed anche militare: quale la chiave, il bersaglio? La posizione degli Stati sulla materia è sempre consistita a ricercare delle posizioni non ben definite, evitando di confondere ad esempio delle minacce e rischi, nemici e rivali.
La storia ci ha inculcato la complessità strategica della nozione di “nemico”. La Francia , in Europa, ha avuto nel tempo dei rivali, sempre suscettibili di divenire degli avversari diretti. E’ sufficiente riferirsi alla lunga rivalità tra i re di Francia e gli Asburgo; e anche del lungo duello franco inglese, che è terminato solo due secoli fa; ed anche con tutti i nostri vicini sino alla metà del XIX° secolo. Il “concerto europeo” in quei tempi non era altro che una competizione vagamente regolamentata tra nemici potenziali.
La teoria diventa pratica con la guerra del 1870 e con l’annessione dell’Alsazia-Lorena, che conduce a due guerre totali ed ad una inimicizia che dura un secolo con la Germania, divenuta apertamente e realmente “il nemico ereditario”. Per la Francia mai è stata così chiara la definizione di nemico come quella con la Germania, e anche la più funesta. Dopo il 1945 il nemico cambia di figura e di posizione. L’URSS è il nemico, ma non viene sempre nominalmente designato. Negli anni 1970 e 1980 in particolare, nella preparazione delle leggi delle programmazione militare per esempio, il dibattito è forte per decidere se sia conveniente o no nominare esplicitamente l’URSS come la fonte si minacce dirette. E’ la sfida della dissuasione, e ciò che comporta, un quarto di secolo dopo la fine della Guerra fredda, come una delle grandi questioni della nostra politica di difesa. Per dissuadere, è necessario in effetti sapere intrattenere una relativa incertezza nei riguardi degli avversari attuali o potenziali, relativamente al nemico più o meno dichiarato. Attualmente è più raro, con il progresso del diritto internazionale, che uno Stato venga dichiarato come tale. Dopo numerosi anni, nella strategia di dissuasione, il nemico non è più esplicitamente designato, ma noi continuiamo a definire nel dettaglio le nostre forze strategiche in funzione della forza dissuasiva che intendiamo esercitare su un nemico potenziale. In questo gioco d’ombre strategiche vi è una certezza: il nemico potenziale che si intende dissuadere è di natura statale. Sono soprattutto le operazioni esterne ed in particolare le operazioni per il mantenimento della pace che hanno oscurato o meglio dissipato la nozione di nemico, facendo emergere un nuovo impiego della forza. Fino a quel momento le forze armate erano concepite, per la maggior parte del tempo, ad affrontare un nemico, che si doveva vincere. Dopo gli anni 1980 e 1990, con la fine della guerra fredda e la moltiplicazione delle crisi nelle quali il Consiglio di sicurezza (Onu), meno paralizzato dal diritto di veto, come nel periodo della Guerra fredda, interviene frequentemente inaugurando una nuova era: la gestione di crisi orienta sempre in maggior misura gli apparecchi di difesa, di numerosi spostamenti vengono effettuati come caschi blu, le regole d’ingaggio, in particolare per aprire il fuoco, vengono adattate alle nuove funzioni. Se le armate hanno saputo adattarsi a queste essenziali missioni, nel cuore di situazioni di urgenza e senza un nemico designato, tuttavia non hanno mai cessato di discernere delle minacce suscettibili di costituire un vero nemico.
La guerra al terrorismo, da distinguersi dalla guerra contro una data organizzazione terrorista, o meglio, in un altro modo, la nozione di guerra preventiva, nozione applicata dodici anni fa dall’Amministrazione americana dell’epoca, di cui noi oggi misuriamo gli effetti destabilizzanti, sono due esempi di designazione del nemico, mai prima considerate.
E’ chiaro che l’ossessione assoluta della sicurezza, che conduce ad intervenire per anticipazione, e che costituisce l’idea della guerra preventiva, si è dimostrata gravida di conseguenze. Ricordiamo che esistono delle norme per gestire il nemico: il diritto internazionale pubblico stabilisce in particolare il diritto alla legittima difesa (che la Francia ha invocato nei confronti di Daech (isis)). E’ per questa ragione che attaccare preventivamente un avversario, qualificandolo nemico, quando questi non porti degli attacchi costituisce certamente una difficoltà. La cultura strategica francese non ha questa ossessione; al contrario, comprende che non esiste una sicurezza assoluta, e quindi è necessario sempre definire il nemico nella maniera più giusta e in reazione definire una strategia militare con l’obiettivo della difesa e della dissuasione. Dopo l’inizio degli anni 2000, viene osservato un aumento progressivo, continuo delle tensioni strategiche e dei rischi relativi alla sicurezza. I due ultimi libri bianchi sulla difesa e la sicurezza nazionale contengono l’analisi del rischio e proposte operative al riguardo, nonché delle illusioni: l’illusione che saremmo alla “fine della storia”, l’illusione che sarà sufficiente di “gestire i problemi” e condurre delle operazioni di polizia internazionale, l’illusione che non avremmo più nemici: questa illusione è andata in frantumi contro la duplice realtà descritta nel libro bianco: le “minacce di forza”, vale a dire le nuove minacce di tipo statale, e i “rischi di debolezza”, vale a dire le zone di caos nelle quali prosperano, chiaramente, i movimenti radicali. Attualmente l’apparire di un nemico maggiore di tipo statale è una realtà che non possiamo non tenere in considerazione. Conformemente a quanto contenuto nel libro bianco 2013 la politica di difesa comprende questa possibilità in tre punti:
1. Il mantenimento di un posizionamento di difesa militare per tutto lo spettro delle capacità, compresi i segmenti più esigenti, in particolare i combattimenti ad alta intensità e all’entrata come punto primario delle forze sul teatro di guerra;
2. Le alleanze militari, in quanto il nemico può essere collettivo; l’Alleanza atlantica (Nato), in caso di aggressione di un nemico con l’unione della difesa collettiva, ai sensi dell’articolo 5 del trattato di Washington¸ l’Unione europea, e precisamente all’articolo 42.7 del Trattato, che prevede una clausola di solidarietà in caso di aggressione di uno dei paesi membri, clausola invocata per la prima volta dalla Francia nel Novembre 2015, nella storia dell’Unione europea:
3. La dissuasione nucleare integra per definizione la possibilità di “risorgenza” di un nemico maggiore di tipo statale Questa costituisce la chiave di volta della difesa nostra (francese) nel caso in questione, per garantire la protezione dei nostri interessi vitali, l’uno delle tre missioni fondamentali delle nostre armate.
Come in tutte le altre democrazie, la nostra identità nazionale non si definisce più nel rapporto con un altro diabolico. Qualsiasi sia la possibilità di “risorgenza” d’un nemico maggiore, sarà una possibilità congiunturale. Non ci sono più “nemici ereditari”, o come li chiama Hanna Arendt “nemico oggettivo”, designato indipendentemente dalle circostanze.
E’ in merito a questa complessità storica di nozione di nemico, pesantemente presente nel pensiero strategico, che è utile riflettere sulla designazione di Daech (Isis) come nemico attuale.
In Siria ed in Iraq, non combattiamo il terrorismo in generale, e non attuiamo una guerra preventiva. Con l’operazione Chammal, noi siamo impegnati contro un movimento terrorista preciso, e siamo in un quadro di legittima difesa, ormai individuale, riconosciuto dalla risoluzione 2249 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. La determinazione del nemico si è imposta. Nella sua storia recente la Francia non si è in effetti mai posta prioritariamente la questione del nemico. Il nemico per noi, all’ora attuale, è prima di tutto una minaccia che si concretizza. A ben vedere è Daech che ci ha dichiarato guerra, definendoci come suo nemico, nelle parole e negli atti.
La questione, non è di sapere chi avrebbe cominciato per primo la scalata alla violenza, in quanto ciò supporrebbe due avversari della stessa natura. Il dibattito, non è di sapere se la Francia getta o meno dell’olio sul fuoco con l’intervento in Siria, sono in concreto il discorso, la propaganda, le campagne di reclutamento dei jihadisti, che non avvengono dalla parte francese. Se qualunque guerra oppone due nemici, il fatto, è di vedere che questa guerra mette in confronto due concezioni di “nemico” che sono nettamente differenti.
Per la Francia, nel quadro politico che ricordiamo, quello della democrazia, Daech costituisce un nemico congiunturale, intrinsecamente legato alla minaccia che ci rivolge. Ma per Daech è chiaro che noi facciamo parte dei nemici strutturali, dei nemici obiettivi. Ci definisce come tali nella sua ideologia, sotto il vocabolo di “giudeo-crociani”. Inscrive questo combattimento nella visione escatologica pseudo islamica con cui fanatizza i propri membri. Qualsiasi cosa noi facciamo, noi siamo identificati per ciò che siamo e per ciò che rappresentiamo. In altre parole, noi non attacchiamo se non quando siamo attaccati: è una posizione etica, politica, ed anche una posizione giuridica.
Per Daech, nella designazione del nemico non vi sono dubbi. La sua caratterizzazione e la definizione della strategia da adottare sollevano altre difficoltà, in quanto noi ci troviamo di fronte ad un nemico profondamente ibrido. Noi possiamo e dobbiamo caratterizzarlo in tre maniere.
1 – In primo luogo, se Daech non è uno stato in senso giuridico del termine (non è possibile, ad esempio, dichiarargli guerra), da un punto di vista strategico, per contro, “noi abbiamo a che fare con un proto stato”, che ha sottomesso un territorio vasto come la Gran Bretagna ed una popolazione di circa 10 milioni di abitanti e che dispone di una capacità militare e finanziaria che numerosi Stati non hanno, che tenta di porre in essere dei poteri regali tradizionali (in particolare quello altamente simbolico di battere moneta). Così come alcune attribuzioni di stato previdenza, in materia di educazione, e di azione sociale, in particolare. Certamente è un proto stato incompleto, per sua storia recente, e per suoi effettivi relativamente limitati (stimati tra 30 e 40.000 combattenti), e per il carattere aleatorio delle sue alleanze. Daech non esercita pienamente la sua autorità politica e ideologica se non su una frazione assai modesta del territorio e della popolazione che rivendica, così come certi Stati deboli o fragili. In particolare, Daech si distingue fondamentalmente da uno Stato in senso giuridico per il fatto che non è chiaramente stabilita l’articolazione fra una popolazione, un territorio ed un governo, e che non vi è alcun riconoscimento da parte della comunità internazionale. Ma si deve prendere atto che Daech compensa questa incompletezza per la violenza estrema e disinibita che esercita sulle popolazioni sottomesse e che attua comunque un sistema di governo.
2 – In secondo luogo a fianco di questo proto stato terrorista, c’è un’armata terrorista, quella del jihadismo transnazionale, sulla quale Daech sta prendendo la direzione, in negativa concorrenza con Al-Qaida. Il jihadismo è una nebulosa di movimenti di taglia e di efficacia differenti, che opera oltre le frontiere, sino ai nostri territori. Il pericolo del nemico, sotto questo aspetto, è legato alla sua plasticità. Dentro questa armata si distinguono dei foreign fighters in numero sempre crescente, in particolare anche cittadini francesi che si radicalizzano sino a diventare dei nemici addestrati nei territori occupati da Daech e rinviati sul nostro suolo con progetti di morte. Vi è una continuità della minaccia, sul fronte esterno e interno, che richiede come controffensiva, una coerenza della nostra azione militare. Intervenire in Siria per danneggiare Daech significa proteggere il nostro territorio e la nostra popolazione. Stiamo attenti comunque, dietro questa continuità operativa, a non fare il gioco del nemico vedendo un continuum politico della minaccia. Non ci sono “nemici dall’interno”: se il combattente di Daech in Siria ed in Iraq è un nemico, e deve essere trattato come tale, il terrorista sul territorio nazionale è un criminale, e deve essere trattato come tale. Del resto parlare di “nemici all’interno” è una porta aperta alla stigmatizzazione infondata e pericolosa, ed è esattamente ciò che i teorici dei nemici cercano.
3 – Daech è una ideologia particolarmente pericolosa. E’ l’ideologia del Takfirismo, versione del salafismo che professa la violenza. E’ anche quella del “califfato” proclamato da Abu Bakr al-Baghdadi nel giugno del 2014. L’obiettivo è attualizzare l’azione conquistatrici dei primi califfi e della dinastia degli Omeiiadi che tra il 661 e 750, assicurarono l’espansione folgorante ed immensa dell’islam, sino alla Spagna ed ai confini del Pakistan. Daech esercita così la potente attrazione di una utopia in costruzione. Ma questa ideologia, millenarista e semplice, ribatte che questa costruzione si farà con il sangue e con la guerra, contro coloro che vengono chiamati:
I. DEVIANTI: i mussulmani sunniti moderati;
II. ERETICI: i mussulmani sciiti;
III. PAGANI: i Iazidi [curdi]
IV. GIUDEO CROCIANI: gli occidentali.
L’obiettivo di questa ideologia è la costruzione di una nuova società e di un nuovo uomo, per ottenerlo viene usata la strategia che comprende: la distruzione delle vestigia del passato preislamico, l’indottrinamento e l’apprendimento della violenza sin dalla più giovane età, il lavaggio del cervello particolarmente violento di cui sono soggetto i foreign fighters al loro arrivo in Siria. La dimensione ideologica è disgraziatamente la più difficile e la più importante da ridimensionare. In definitiva, è possibile neutralizzare i combattenti del nemico, danneggiare le sue strutture, ma è oltremodo più complesso distruggere una idea. Da questo punto di vista si può scommettere che l’ideologia jihadista, che esisteva prima di Daech, gli sopravviverà, ed a questo dobbiamo prepararci ed essere pronti.
Da queste tre dimensioni (un proto stato, un’armata terrorista, una ideologia estremista) risulta che ci troviamo di fronte un nemico profondamente ibrido e particolarmente pericoloso.
Numerose analogie evocano il totalitarismo e le tirannie . In fatti, se ci riferisce ai cinque elementi che caratterizzavano il totalitarismo, secondo l’insegnamento di Raymond Aron si deve constatare che Daech li ha tutti, in maniera più o meno pronunciata.
1. Un capo carismatico, Abou Bakr al Baghdadi, autoproclamatosi califfo, sostenuto da un partito unico, all’occorrenza il Consiglio della Sharia, demoltiplicato a livello locale da Istituti della Sharia;
2. Una ideologia, il salafismo takfiri, eretto a verità ufficiale e divina;
3. Il monopolio dei mezzi di violenza e di persuasione;
4. L’appropriazione ed il controllo della maggior parte delle attività economiche e la loro sottomissione all’ideologia;
5. Il terrore poliziesco, militare, ideologico.
Per diverse ragioni, questo modello, non funzione ancora completamente:
• Daech non ha ancora i mezzi per sottomettere totalmente le popolazioni ed i territori sotto il suo controllo;
• Non dispone di capacità industriali e tecniche dei grandi totalitarismi del XX° secolo, che permetterebbero di aumentare la sua potenza di guerra, ad esempio di commettere crimini di tipo genocida, anche se i tragici eventi riservati agli Iazidi fa capire l’ampiezza di Daech e le complicità non totalmente manifeste si cui dispone .
Daech non è ancora riuscita a modificare la società che domina, come invece hanno fatto i nefandi totalitarismi del XX° secolo: nazismo e comunismo. Questa momentanea imperfezione del totalitarismo risulta compensata da alcune preoccupanti specificità:
La qualità ed il volume della propaganda di Daech che riguarda tutti i codici culturali dei suoi obiettivi, riesce a convertire alla sua ideologia con un’inquietante rapidità;
La disinibizione completa di Daech nell’esercizio, nella sceneggiatura e nella spettacolarizzante divulgazione mediatica, della più barbara violenza, fuori da ogni codice e schema dell’umanità, che viene praticata in maniera sistematica.
L’ideologia di Daech si appoggia su una base religiosa, attraverso una lettura particolare del Corano, che gli conferisce attraverso un libro sacro una audience ed una resilienza di molto superiori a quelle dei totalitarismi del XX° secolo, nazismo e comunismo.
Ecco il nemico dichiarato all’ora attuale.
La sua volontà di sentirsi stato, il suo progetto ideologico totalitario e la sua ambizione califfale imperialista gli conferiscono un potere di distruzione su scala mondiale, non essendo risparmiata nemmeno l’Asia, il tutto unito ad una fortissima resilienza.
Un nemico simile non ha molti precedenti.
Contro Daech dobbiamo seguire una strategia globale che possa associare tutti coloro, e sono numerosi, che si ritrovano indicati come bersaglio e come nemici da Daech stessa. Dobbiamo rispondere a quattro livelli:
I. Livello militare: per distruggere questo proto stato jihadista che ci minaccia direttamente;
II. Livello di Polizia e Giudiziale: per proteggere più da vicino i nostri concittadini e neutralizzare queste minacce sul territorio nazionale; l’esercito concorre ormai ad una protezione più vicina, preso atto della militarizzazione dell’avversario, e della necessità di ricorrere all’insieme delle specificità dell’armata professionale adattate a questa lotta sul territorio; occorrerà verificare i vari livelli di connivenza e/o superficialità ai vari livelli: mancanza di attenzione e consapevolezza del pericolo nell’individuazione di sospetti, di accettazione di regole non ammissibili per dei delinquenti comunque legati al nemico; organi giudicanti a vari livelli soggiogati o subornati con l’obiettivo di ottenere comprensioni che aumentano la resilienza delinquenziale del nemico.
III. Livello politico e ideologico, che non è meno importante. Non si può fare la guerra, nel senso militare, ad una ideologia; come risposta è necessario mettere in opera tutti i mezzi di lotta possibili per contrastare la sua influenza, in particolare sul terreno dell’informazione. Su questo punto dobbiamo fare molto di più: per un video che noi allestiamo contro la radicalizzazione, Daech ne matte in onda quindici, solamente calcolando quelli in lingua francese. La scena politica, con la questione sunnita in Medio Oriente, o quella delle popolazioni del Nord del Sahel, deve assumersi il dovere della considerazione e della gestione, altrimenti si perde. La politica deve anche riconoscere gli errori commessi negli sconvolgimenti diretti in ognuna delle zone, e nell’aver collaborato a far nascere e crescere movimenti che inevitabilmente gli si rivoltano contro. Ma questa abitudine nefanda di alcuni paesi occidentali purtroppo non si fermerà . Ma su un punto la politica non deve richiedere alcun perdono ma esigere il dovere civico: verso quelle comunità che conoscono le attività delinquenziali, perché non possono non vedere, e questo vale per i cittadini, i vicini, gli organi di controllo del territorio, che permettono la permanenza di delinquenti per mesi in un perimetro molto circoscritto e di muoversi tollerando la complicità e l’omertà di vicini. La politica quando perde su questo punto, che è basico, perde come politica ed ha il doversi di farsi da parte.
IV. Livello economico perché in numerosi casi, il reclutamento jihadista passa per lo sviluppo dell’economia e la giusta ripartizione dei frutti della crescita.
In tutta evidenza Daech ci si presenta come un nemico di tipo nuovo. Ci mette di fronte a tre sfide:
1. Sfida della pluralità della minaccia. Perché dobbiamo pensare ad un nemico presente su molteplici fronti, con diversi modi di agire. Non solamente attua categorie di lotta abituali, ma usa la sua agilità ed efficacia strategica collegandola alla sua capacità di annullare e diminuire i limiti che hanno costituito sino ad oggi l’ordine internazionale e l’arte della guerra moderna.
2. Sfida della libertà di cui si arroga il nemico. Là dove le nostre armate sono impegnate con una serie di contrattempi, rivendicate e attuate da noi in quanto sono fondate sull’esercizio della democrazia e dell’ordine internazionale, il nemico semplicemente si ritiene libera da qualsiasi obbligo giuridico, dottrinale e etico.
3. Sfida di non dimenticare. L’azione della nostra difesa non deve essere limitata a lottare contro Daech, anche se questo è importante. La nostra difesa deve essere fortemente impegnata in azioni di controterrorismo. Se il nemico rinvia ad una minaccia che si concretizza in maniera drammatica, dobbiamo ricordarci che il nostro apparato di difesa è concepito per rispondere ad un ampio spettro di minacce; detto in altri termini, per scontrarsi con nemici “in divenire”, ed anche per trattare situazioni che non evidenziano alcun modello strategico del nemico.
Per fare questo noi dobbiamo andare al di là del nemico presente, mantenendo gli occhi aperti sull’insieme dello spettro di minacce che ci si presentano. Dobbiamo renderci conto che i problemi sollevati dalla guerra ibrida non si arrestano a Daech dato che una crisi, per esempio nel cuore del continente europeo, ne ha dato recentemente una deflagrante e sanguinosa dimostrazione. Dobbiamo prevedere la possibilità di risorgenze di maggiori nemici di tipo anche statale. Dobbiamo anche esplorare in profondità dei metodi nuovi, ma già di notevole dimensione e difficoltà, come la ciberdifesa. Questo aspetto introduce una figura radicalmente nuova del nemico, quello del nemico invisibile, anonimo e intracciabile.
Di fronte all’insieme di queste minacce, come non mai, dobbiamo concepire e mettere in pratica una politica di difesa ambiziosa e adattabile, che non viene definita solamente nel corto termine, vale a dire del nemico presente, ma di una analisi strategica che integri l’insieme delle minacce alle quali noi siamo o possiamo essere confrontati.
La diplomazia e la politica di difesa devono anche contribuire a fare barriera all’emergenza di nuovi nemici. Questo è il ruolo della dissuasione: è questa che può permetterci di mantenere i nostri nemici al rango di avversari, interdicendo loro di prevedere e di estendere il campo della competitività strategica a quello di guerra aperta. E’ anche il ruolo delle operazioni del mantenimento della pace che hanno come scopo di stabilizzare delle zone dove potrebbero installarsi nuovi nemici.
Oltre alla lotta contro Daech vi è una coerenza globale della nostra azione di difesa sulla quale noi dobbiamo essere vigili, il 13 novembre 2015 ce lo ha tragicamente dimostrato.
Ogni riflessione sul nemico comporta, al di là di un dovere di memoria, un dovere di vigilanza e di azione che dobbiamo esercitare come non mai.
E’ farina di un gruppo di esperti francesi su Commentaire, una rivista specializzata. Non devo dimenticarmi che la Francia tiene i soldi (fa da Banca centrale) ad oltre 14 paesi africani, che usano il franco, ma che NON possono togliere i loro soldi che sono custoditi, per trattato, in Francia. Non sevo dimenticarmi che in Francia vi è una corrente di pensiero che può influenzare la politica, e che la magistratura dipende dai Prefetti. Come potrà resistere questa visione all’interno di una Unione dove vi è il libero passaggio, dove si sta instaurando la politica dell’assolutamente incorretto parlare o alludere all’islamismo? Vi saranno dei terroristi che attueranno in un territorio per poi spostarsi in un altro territorio. La Francia lo ha giocata con il terrorista omicida Battista nei confronti dell’Italia. Ritorno al senso di Unione.
Leave a comment