kawamura’s garden

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Kawamura operava in un mega japan trader company. Era stato a Milano per 5 anni ed avevamo avuto modo di conoscerci. Aveva stretto una collaborazione con Mauro, la mia era una semplice conoscenza. Mi incuriosiva il suo sbattere continuamente gli occhi sotto gli occhiali, mentre parlava. Coglievo un movimento da batterista tra gli occhi e le labbra ed il tono sempre lento e basso della voce. Ritornò in Japan e passati 5 anni ebbe l’occasione di ritornare, in missione, a Milano e lo invitammo a cena.
Lui e la sua famiglia, moglie e due figlie, avevano  una grande nostalgia del meraviglioso periodo che aveva trascorso a Milano, del cibo, dell’aria, del gusto del vivere. Parlava dei suoi due giorni di vacanza e della sua decisione di arriva in cima ad una particolare montagna, con un significato profondo. La salita era impervia e lui si era preparato meticolosamente. Andò solo. “Ma pensate che fortuna! Quel giorno non solo piovve, ma ci fu un temporale, ed il sentiero aveva pozze d’acqua ed anche rivoli!.” Mauro ed io ci guardammo. Che senso fortuna? “La fatica fu maggiore, l’arrampicata più ardua, arrivare in cima fu ancora più difficile di quanto avessi previsto. E questa è una fortuna.”. Aveva ragione, non era la cima era il viaggio. Da allora quando vado da qualche parte in auto o in macchina rallento e prendo tempo, ma resto ancora molto lontano da Kawamura. Oltre ai due giorni di vacanza annuali ci parlò della sua abitazione, certamente meno ampia di quella di Milano, ma sufficiente per la sua famiglia. “Ed ho anche un giardino, che prende tutto il mio tempo libero.”. “Anche Flavio ha un giardino.”. Mauro non si fa mai i cavoli suoi.

Mi chiese del mio giardino. Mi ascoltò è mi compatì. “Il mio giardino è di 39,5 metri quadrati. Ho una montagna, due colline, un fiume ed un laghetto, un deserto e un vivaio con fiori freschi tutto l’anno. Si, certamente ho alberi di ciliegio, faggi, si, ho anche dei tigli. E si, Flavio, ho anche una quercia. Ho fatto tutto io, lo accudisco io, non potrebbe essere più grande perché non potrei farcela. Tu, Flavio non hai un giardino. Hai cinquemila metri quadri di terra. Ma non un giardino, e soprattutto non un tuo giardino.”. Colpito e affondato.

Ho tentato di fare l’inventario almeno degli alberi presenti nel giardino, andando a scoprire i nomi latini (perché Kawamura non diceva tigli, ciliegi o querce, ma citava i nomi latini): non ci sono riuscito ed ho tentato almeno una decina di volte.

Mi sono trovato con lui sul significato e sul significante. Stravedeva per Mauro e aveva una ammirazione anche nei miei confronti.

Stamani tuta, stivali, cappellaccio, e via a tagliare l’edera ed i rampicanti che soffocano gli alberi. Con la mano insanguinata dai rovi (ho anche gustato delle freddolose more nere) e non potendo averla vinta con i tronconi di edera (non avevo un seghetto) ho pensato a Kawamura. Mi sono seduto sull’erba bagnata e mi sono messo a ridere con me stesso e vedevo seduto vicino lui con il suo sbattere di occhi e movimento delle labbra. Peccato che non ci fosse un bel temporale, invece di un tiepido sole autunnale.

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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