2030 – Qualità

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Salone di lettura presso la Biblioteca Comunale di Locarno. Lettura.

Anni fa mi raccontavano che in un incontro tra operatori non ci si raccapezzava sulla definizione di qualità, sino a quando un operatore giapponese disse “Semplice: la qualità e ciò che vuole il cliente.”.

Ultimamente ho indicato la qualità come seconda direttrice tra le quattro che vedo, come fondamentali, da qui al 2030. La definizione dell’operatore giapponese è semplice e calza bene. Mi risulta migliore della definizione: la qualità è il rispetto delle specifiche. In effetti la qualità ha una caratteristica ed un valore.

La caratteristica è relativa alla conformità alle specifiche tecniche, condivise, accettate, in maniera chiara, verificabile.

Il valore è relativo all’adeguatezza all’uso. L’adeguatezza sta a significare che ognuno sa esattamente che cosa sta usando o acquistando, dandogli il valore per l’impiego.

Sono due aspetti distinti e che possono intersecarsi. Personalmente ritengo che nel percorso verso il 2030 assumerà un maggior peso ed un diverso posizionamento la qualità negli interscambi, particolarmente nel settore agroalimentare in senso lato. Mi sto riferendo al consideranda 30 del Regolamento CE n. 178/2002 che stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare. Lo riporto:

(30) Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale, della sicurezza degli alimenti. Sebbene tale principio sia affermato in alcuni Stati membri e in alcuni settori della legislazione alimentare, in altri settori esso non è esplicito o la responsabilità viene assunta dalle autorità competenti dello Stato membro attraverso lo svolgimento di attività di controllo. Tali disparità possono creare ostacoli al commercio e distorsioni della concorrenza tra operatori del settore alimentare di Stati membri diversi.

Iniziamo, prima di entrare nello specifico della qualità, nel considerare che viene indicato nell’operatore alimentare finale la figura che deve modulare sia l’aspetto della caratteristica (le specifiche tecniche) e del valore (è proprio questo che si intende usare [assumere come cibo]). Da questa considerazione si evince la distanza siderale tra la quantità come si declina oggi e il posizionamento finale: l’operatore alimentare che come marchio e comunque come colui che mette in commercio assicura, si prende la responsabilità ed è responsabile, che il cibo (solido, liquido, altra forma) che offre sia conforme alla caratteristica ed al valore della qualità. La semplice rispondenza alle specifiche di qualsiasi pezzo della filiera che dal campo porta alla forchetta non ha senso se non trova il punto di responsabilità dell’operatore alimentare finale, il quale deve avere, e siamo nel 2030, la consapevolezza di come assumersi questa responsabilità e quindi di creare il vantaggio competitivo proprio grazie alla organizzazione della catena del valore del cibo grazie alla qualità.

Ogni tratto del percorso di filiera avrà le proprie specifiche che sono la caratteristiche delle proprie attività operative, e che verranno ottenute grazie alle specifiche dei prodotti in entrata (IN). La costruzione del vantaggio competitivo è reso possibile se per ogni IN vi è la condivisione della conformità delle specifiche che debbono essere chiare, verificabili, verificate, senza mancanze e/o ridondanze. E’ la costruzione della filiera, verticale e/o orizzontale, presupposto per attuare il vantaggio competitivo qualitativo indicato nel consideranda 30.

Ho parlato di distanza siderale. Concordate?

Nei fatti attualmente oggi ciascun tratto del percorso ha proprie specifiche oppure delle specifiche che riguardano le attività operative del proprio tratto, incluse in abitudini, usi, accordi con disposizioni di agenzie territoriali, ma che non possono permettere di costituire un vantaggio competitivo, se non obbligatoriamente di minor costo, in quanto non sono corrispondenti alla caratteristica ed al valore della qualità che il consumatore informato conosce e sta alla base della propria decisione all’acquisto. Le specifiche attuali possono essere manchevoli, ridondanti, fumose, e questi tratti negativi vengono, al momento, superati dalla credibilità del marchio dell’operatore alimentare che, ed è questo il punto di base, non vuole interessarsi della definizione della caratteristica e del valore della qualità di ogni tratto, e non si rende ancora conto che il vantaggio competitivo solido e resistente è ottenibile solamente se il prodotto finale contiene tutte le caratteristiche ed i valori di qualità di ogni tratto.

Allora la distanze tra questa utopica visione e la realtà attuale è o non è siderale?

Questa considerazione viene zoomata sul territorio italiano perché ha la specificità di avere un punto di forza ed insieme un punto di debolezza, proprio per quanto riguarda l’agroalimentare.

Il punto di forza è l’eccellenza che viene data: 1) dagli abitanti per qualsiasi aspetto relativo al cibo: pane, pasta, frutta, verdura, carni, preparazioni culinarie varie, formaggi e latticini; 2) dai visitatori, chiamati turisti, occasionali e/o abitudinari che fanno della qualità del cibo una delle preferenze per la loro decisione dello spostamento nel territorio italiano; 3) Dai media internazionali: film americani e non, libri e racconti. I punti di forza hanno una curva di Gauss che dura mediamente 20 anni, se non vengono trasformati in punti di forza difesi e continuamente rivisti per consolidare e fortificare il vantaggio competitivo.

Il punto di debolezza è la non produzione locale e quindi l’impossibilità di poter verificare ogni tratto del percorso. L’Italia importa oltre il 50% di qualsiasi ingrediente di base: frutta, verdura, cereali, carne rossa, latte, ad esempio. Ed alla domanda: “ma come controllate la qualità di quello che viene importato?” ti viene risposto “dai timbri delle autorità sanitarie dei differenti paesi di origine e dagli accordi intra statali.”. E con questa risposta l’operatore alimentare finale o di uno dei diversi tratti, dimostra di essere estremamente miope, di adottare la strategia del “fin che dura fa verdura”, ma di NON essere assolutamente consapevole, responsabile e capace di creare un vantaggio competitivo solido e resistente. Con questo approccio non c’è partita, non si arriva al 2030. Facendo una considerazione ironica, anche se si sta parlando di ruoli, funzioni, creazione di vantaggio competitivo solido e resistente, quindi di un argomento estremamente serio, siamo alla Nave Peppa: a prua combattevano ed a poppa non lo sapevano.

Facciamo alcuni esempi di operatori alimentari miopi, coloro che non hanno e non vogliono avere il controllo della caratteristica e del valore della qualità in ogni tratto dal campo alla propria attività operativa. Per ognuno di questi esempi vi sono casi concreti che consentono di definire la distanza rispetto alla costruzione del vantaggio competitivo. La conoscenza della distanza tra la realtà e l’obiettivo è la base per poter prendere delle misure correttive ed operative. Siamo consapevoli che vi sono interessi contrastanti a questa visione e che rappresentano questi interessi combatteranno contro qualsiasi tentativo per arrivare a modificare il posizionamento e la consapevolezza degli operatori. Costoro combatteranno, per mantenere lo status quo e per migliorare il loro posizionamento, con ogni mezzo ed a tutti i livelli, politico, gestione del territorio, associazionismo, media, finanziario ed utilizzeranno figure anche prestigiose che avranno interesse a militare quale quinta colonna. Lo abbiamo già visto e non dobbiamo meravigliarci. Per poter costruire il vantaggio competitivo solido e resistente dobbiamo avere anticorpi ed essere consapevoli di essere in guerra, e che il nostro equipaggiamento non è dei migliori e quindi dobbiamo metterci più testa e più cuore.

Marchio DOP, DOC. Marchio di caseificio. Marchio di qualsiasi tipo di cibo, in particolare derivato da animali (carne, uova, latte).

Marchio alimentare che distorce l’informazione al consumatore traendolo, subdolamente, in inganno nella decisione di acquisto. Esempio: bresaola della Valtellina.

Marchio alimentare di specialità suine che opera senza tenere in considerazione la colata a picco del patrimonio suinicolo italiano. Esempio 1: Prosciutto di Parma, S. Daniele, altri. Esempio 2: industrie di trasformazione che sbandierano il tricolore ma che nei loro prodotti la quota di materia prima nazionale è inferiore al 12%.

Marchio alimentare di specialità lattiero casearie che opera senza tenere in considerazione la difficoltà di esistenza di un patrimonio zootecnico (vacche, bufale, ovini) che viene eroso come consistenza.

Allevatore che acquista prodotti che vengono fabbricati in uno stabilimento conto terzi e non ha alcun contatto con lo stabilimento di produzione.

Fabbricante di alimenti che acquista macroingredienti e microingredienti da intermediari senza conoscere come e con quali procedure vengono ottenute le produzioni a monte.

Medico Veterinario che prescrive senza tenere in considerazione tutti gli aspetti legati alla somministrazione.

Nutrizionista che stabilisce delle formulazioni relative ai microingredienti senza tenere in considerazione il rispetto della sua ricetta nella razione quotidiana dell’animale.

Attività di territorio che permettono la messa in commercio di prodotti, proveniente da estero e per estero si intende al di là dei propri confini, che non sono conformi alle disposizioni stabilite per coloro che operano nel territorio nazionale. Esempio: soglie per la contaminazione.

About the author:

ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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