Usque tandem

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Non nel senso della sopportazione ma nella previsione della durata della verdura.

Da quasi subito del mio esclusivo ingresso nel mondo della produzione di cibo l’Italia è stata un paese nettamente importatore. Sin da subito fummo grandiosi importatori anche di uova e pollame. Poi vennero degli imprenditori illuminati e, partendo da delle waterloo, riuscirono a concepire e realizzare, non senza fatica, i sistemi per arrivare, almeno per la carne di pollame e delle uova, all’autoapprovvigionamento. L’autoapprovvigionamento di cibo è un punto fondante di una moderna nazione. Arrivare all’autoapprovvigionamento è anche una questione politica ed un criterio per il giudizio positivo o negativo della classe politica stessa, ma questa è una opinione del tutto personale. Essendo una questione politica valgono i mezzi dei paesi con interessi opposti di mettere in esecuzione tutti i mezzi possibili per fare in modo che una nazione non possa interrompere il flusso delle importazione. E’ una guerra moderna con tanto di impiego di servizi mica poi tanto segreti. Spendavamo almeno negli anni 80/90 una cifra per le importazioni di cibo, pari alle importazioni di petrolio. Ma il petrolio non l’avevamo, ne l’abbiamo, anche se abbiamo saputo mettere in piedi chi andava a procurarselo in maniera più o meno vantaggiosa, mentre il cibo avremmo potuto produrcelo. E qui dobbiamo riconoscere che i servizi non così tanto segreti dei paesi interessati a che la nazione italia non potesse fare a meno di importare, hanno fatto un lavoro egregio. Personalmente conoscevo che importavamo il 50% del nostro fabbisogno di latte e di carne di suino, importavamo anche il 15-20% di carne di coniglio. Ma la mia conoscenza si fermava lì. Tanto il latte quanto la carne di suino sono andate peggiorando. Per il latte l’acquisizione di marchi importanti ha sottratto la produzione di latticini (latte tal quale e suoi derivati) dall’utilizzazione di latte prodotto dalle vacche pascolanti sul suolo italico. Per la carne di suino sono state le industrie di trasformazione italiane a condurre il gioco, poi imparato dai paesi importatori che sono anche riusciti a far diminuire il nostro parco scrofe da 600.000 a < 350.000. E con meno scrofe, va da sé, che produrremo meno suinetti. Ed importando i suinetti dai paesi che hanno brigato per ottenere questo risultato non potremo che evitare anche di ingrassarli. E’ un po’ quello che succede oggi con i bovini da carne, che in gran parte partivano dall’importazione di bovini da carne francesi o di altre nazioni. Sapevo, vagamente, anche della nostra necessità di importare ovini e caprini, ma su questo punto non ero e non sono tanto preparato. Venni anche catechizzato da autorevole personaggio che anche per il grano duro (pasta, pizza, pane) le importazioni erano > 90% del nostro fabbisogno. Quindi quando decantiamo il mito dei nostri farinacei stiamo mentendo, poiché se la materia prima principale non la produciamo, il nostro know-how è ben poca cosa: solo apparenza e questa, prima o poi svapora. L’ultima è stata una vera sorpresa: “Di tutto il pesce che mangiamo l’80% è di importazione”. E mi viene spiegato che questo riguarda sia il fresco che il congelato o surgelato, pesci, crostacei e molluschi. Quando vedo le trasmissioni sulle contraffazioni degli altri paesi mi immalinconisco. I primi contraffattori del marchio “italia” siamo tutti noi. Noi non lo utilizzeremo più per primi poiché avremo vergogna di aver distrutto la possibilità legata al territorio sia come gestione e sia come creazione di posti di lavoro, per ottenere quanto di più strategico necessiti un gruppo sociale: l’alimentazione. Ma siamo sicuri di avere i soldi per comperare dovunque le derrate saranno prodotte. Già che se non avremo i soldi avremo bisogno di molto tempo per arrivare a delle produzioni industriali avendo perduto interamente il know-how relativo. Fin che dura fa verdura, questa è la nostra gran pensata strategica e tattica della piramide del settore. Con la svendita dei vari marchi storici di derrate alimentari relative al latte (francia), e relative all’olio (spagna), ci siamo preclusi i tempi supplementari. Con la bresaola della Valtellina, che come prima punto del proprio capitolato tecnico ha che la carne deve essere argentina e/o brasiliano, abbiamo raggiunto un buon grado di stupidità, anche qui i rigori sono stati già tirati. Abbiamo perso. Basterà l’acquisto di poche industrie di trasformazione degli insaccati suini per perdere anche questa partita che ci vede in nettissimo svantaggio. Ma che c’importa? Tanto noi saremo pieni, ma piani di soldi per acquistare ciò che vogliamo mangiare. E i prodotti che compreremo saranno “provola”, “grana”, “stracchino”, “toma piemunteisa”, “pasta italiana”, “prosciutto di parma”, “prosciutto di S. Daniele e S. Francesco” o altro, con tanto di bandiera tricolore o anche con lo stemma regionale o comunale. Tanto a noi che c’importa? Non avremo più il know-how relativo a qualsiasi produzione, ma siamo sicuri che avremo sempre i soldi. La dimostrazione che proprio non c’importa un bel niente? Il ministero dell’agricoltura, che in ogni nazione gestisce l’approvvigionamento alimentare, l’avevamo abolito per referendum già tanti anni fa.

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ho operato da sempre nel settore dell'alimentazione degli animali da reddito in Europa e nel mondo. Benessere animale, sicurezza dei manipolatori, degli utilizzatori e dei consumatori sono le linee direttrici. Un aspetto importante è lo sviluppo durevole e i ruoli per i giovani nonché l'accessibilità per i meno abbienti a derrate alimentari sicure

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